Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

dimanche, 10 mai 2015

Nazarbaev rieletto Presidente del Kazakhstan: significato e reinterpretazioni

nazarbaevaaaaa.jpg

Nazarbaev rieletto Presidente del Kazakhstan: significato e reinterpretazioni

Dal nostro corrispondente ad Astana Dario Citati, Direttore del Programma “Eurasia” dell’IsAG

Ex: http://www.geopolitica-rivista.org


Le quinte elezioni presidenziali nella storia del Kazakhstan indipendente, tenutesi domenica 26 aprile 2015, si sono concluse con l’ampiamente prevista vittoria del Presidente uscente Nursultan Nazarbaev, che guida lo Stato centroasiatico dal 1991, anno in cui il Paese ottenne la piena sovranità dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il verdetto delle urne è risultato un autentico plebiscito, con il 97,7% delle preferenze che hanno premiato Nazarbaev. I due avversari, il candidato “verde” Abelgazi Kussainov e Tunguz Syzdykov del Partito Comunista del Popolo, hanno raccolto rispettivamente l’1,6% e lo 0,7%.

Prima ancora delle valutazioni sul significato di tali percentuali – cioè nei briefing e nelle conferenze stampa tenutesi nella giornata del voto quando non si conoscevano i risultati definitivi – molti degli osservatori internazionali hanno tenuto a sottolineare la piena regolarità procedurale del voto. Per l’Italia erano presenti, in qualità di osservatori OSCE, il Sen. Sergio Divina e l’On. Riccardo Migliori, Presidente emerito dell’Assemblea Interparlamentare OSCE. Entrambi hanno affermato che le operazioni di voto si sono svolte con trasparenza, in un clima di elevata partecipazione ai seggi e quasi di “festa nazionale”. Il Segretario Generale dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, Sergej Mezencev, ha parimenti confermato la regolarità delle operazioni di voto in tutti i seggi visitati.

Per quanto attiene invece al significato politico della tornata elettorale, nonché al livello di democratizzazione del Paese, altri osservatori indipendenti hanno fornito elementi importanti di valutazione. Secondo Richard Weitz dello Hudson Institute di Washington, ad esempio, “le elezioni del 2015 confermano che in Kazakhstan gli istituti di rappresentanza si sviluppano positivamente”. Per comprendere l’enorme divario di percentuali tra il vincitore e gli sconfitti, ha quindi sostenuto che “la qualità intrinseca delle elezioni non può essere valutata in base ai criteri europeo-occidentali, perché simili paragoni indurrebbero a un giudizio sbagliato sugli sforzi del Paese nell’implementazione delle proprie riforme: queste ultime vanno invece valutate alla luce dell’eredità storica del Kazakhstan, nonché del suo livello di sviluppo sociale”.

Anche un altro osservatore occidentale, Daniel Witt, ha affermato che “il giudizio sulla qualità democratica delle elezioni non si può basare solo sulla descrizione di un singolo evento”, in quanto “gli appuntamenti elettorali sono un processo continuo di perfezionamento, da condurre attraverso la comparazione tra le elezioni di oggi e quelle del passato, per verificare il progresso raggiunto a ogni tornata elettorale”.

In base a questi giudizi si può affermare che il senso politico di queste elezioni presidenziali del 2015 sta soprattutto in un test di fiducia della popolazione verso lo stesso Nursultan Nazarbaev, l’uomo che incarna il destino stesso del Kazakhstan indipendente. Un test che avviene peraltro in un momento delicato di transizione, segnato da uno scenario geopolitico molto teso su cui influiscono la stessa crisi ucraina e le sanzioni in Russia che hanno avuto ripercussioni anche sul mercato kazako. D’altra parte, queste elezioni presidenziali avrebbero dovuto tenersi nel 2016, ma sono state anticipate al 2015 sia per evitare la sovrapposizione con le elezioni parlamentari, sia per consentire una programmazione più sistematica per iniziative di grande rilievo nel futuro prossimo come l’Expo2017.

Si è soliti affermare che per un Paese come il Kazakhstan, ventiquattro anni dopo l’ottenimento dell’indipendenza, la stabilità e la garanzia di uno sviluppo pacifico sono ancora oggi più importanti di una concezione della democrazia all’occidentale, segnata cioè dal multipartitismo e dall’assenza di una figura personale carismatica. Ciò è senz’altro plausibile: al momento dello scioglimento dell’URSS, il Kazakhstan era considerato fra i Paesi più a rischio implosione e caos. Il suo percorso di stabilizzazione interna, nonché l’apertura alle organizzazioni e alla cooperazione internazionale sono in genere unanimemente riconosciuti come positivi, se valutati in base alle condizioni di partenza, e restano un elemento imprescindibile per comprendere le ragioni di un consenso così vasto per Nazarbaev.

Ma c’è un fattore non meno rilevante per collocare in un’ottica più vasta il senso di queste elezioni. Forse più di qualsiasi altro Paese ex sovietico, il Kazakhstan è riuscito a diminuire significativamente la presenza nello Stato nell’economia e a favorire la libertà d’impresa privata (a livello di piccola e media imprenditoria e senza liberalizzazioni “traumatiche”), spesso in tempi rapidissimi. Vale la pena ricordare che solo tra il 2012 e il 2013 esso è passato dal 71° al 51° posto tra i Paesi a maggiore competitività economica nell’annuale classifica mondiale stilata dal World Economic Forum e ancora oggi è indicizzato come un Paese estremamente conveniente per esportazioni e investimenti.

È ben noto quanto, nelle società contemporanee, la concorrenza economica e la libertà d’impresa siano strettamente legate allo sviluppo della democrazia e della competizione politica. La modernizzazione di questa repubblica centroasiatica è cominciata soprattutto a partire dalla graduale concessione delle libertà economiche dopo settant’anni di monopolio di Stato. La riconferma di Nazarbaev può essere letta quindi anche come un riconoscimento per l’aumento di tali libertà, a cui la generazione nata e cresciuta nel Kazakhstan indipendente dovrà far seguire un consequenziale sviluppo politico e civile.

mercredi, 06 mai 2015

Une coalition sino-russo-iranienne opposée à l’Otan débute-t-elle à Moscou?

mosctehepek.jpg

Une coalition sino-russo-iranienne opposée à l’Otan débute-t-elle à Moscou?

La Conférence de Moscou sur la sécurité internationale, en avril, a été une occasion de faire savoir aux Etats-Unis et à l’OTAN que d’autres puissances mondiales ne les laisseront pas faire comme ils l’entendent.

Le thème portait sur les efforts communs de la Chine, de l’Inde, de la Russie et de l’Iran contre l’expansion de l’OTAN, renforcés par des projets de pourparlers militaires tripartites entre Pékin, Moscou et Téhéran.

Des ministres de la Défense et des responsables militaires venus du monde entier se sont réunis le 16 avril au Radisson Royal ou Hotel Ukraina, l’une des plus belles réalisations de l’architecture soviétique à Moscou, connue comme l’une des Sept sœurs construites à l’époque de Joseph Staline.

L’événement de deux jours, organisé par le ministère russe de la Défense était la quatrième édition de la Conférence annuelle de Moscou sur la sécurité internationale (CMSI/MCIS).

Des civils et des militaires de plus de soixante-dix pays, y compris des membres de l’OTAN, y ont assisté. A part la Grèce, toutefois, les ministres de la Défense des pays de l’OTAN n’ont pas participé à la conférence.

Contrairement à l’année dernière, les organisateurs de la CMSI n’ont pas transmis d’invitation à l’Ukraine pour la conférence de 2015. Selon le vice-ministre russe de la Défense Anatoly Antonov, «à ce niveau d’antagonisme brutal dans l’information par rapport à la crise dans le sud-est de l’Ukraine, nous avons décidé de ne pas envenimer la situation à la conférence et, à ce stade, nous avons pris la décision de ne pas inviter nos collègues ukrainiens à l’événement.»

A titre personnel, le sujet m’intéresse, j’ai suivi ce genre de conférences pendant des années, parce qu’il en émane souvent des déclarations importantes sur les politiques étrangères et de sécurité. Cette année, j’étais désireux d’assister à l’ouverture de cette conférence particulière sur la sécurité. A part le fait qu’elle avait lieu à un moment où le paysage géopolitique du globe est en train de changer rapidement, depuis que l’ambassade russe au Canada m’avait demandé en 2014 si j’étais intéressé à assister à la CMSI IV, j’étais curieux de voir ce que cette conférence produirait.

Le reste du monde parle: à l’écoute des problèmes de sécurité non euro-atlantiques

La Conférence de Moscou est l’équivalent russe de la Conférence de Munich sur la sécurité qui se tient à l’hôtel Bayerischer Hof en Allemagne. Il y a cependant des différences essentielles entre les deux événements.

Alors que la Conférence sur la sécurité de Munich est organisée autour de la sécurité euro-atlantique et considère la sécurité globale du point de vue atlantiste de l’OTAN, la CMSI représente une perspective mondiale beaucoup plus large et diversifiée. Elle représente les problèmes de sécurité du reste du monde non euro-atlantique, en particulier le Moyen-Orient et l’Asie-Pacifique. Mais qui vont de l’Argentine, de l’Inde et du Vietnam à l’Egypte et à l’Afrique du Sud.  La conférence a réuni à l’hôtel Ukraina tout un éventail de grands et petits joueurs à la table, dont les voix et les intérêts en matière de sécurité, d’une manière ou d’une autre, sont par ailleurs sapés et ignorés à Munich par les dirigeants de l’OTAN et des Etats-Unis.

Le ministre russe de la Défense Sergey Shoigu, qui a un rang d’officier équivalent à celui d’un général quatre étoiles dans la plupart des pays de l’OTAN, a ouvert la conférence. Assis près de Shoigu, le ministre des Affaires étrangères Sergey Lavrov a aussi pris la parole, et d’autres responsables de haut rang. Tous ont parlé du bellicisme tous azimuts de Washington, qui a recouru aux révolutions de couleur, comme l’Euro-Maïdan à Kiev et la Révolution des roses en Géorgie pour obtenir un changement de régime. Shoigu a cité le Venezuela et la région administrative spéciale chinoise de Hong Kong comme exemples de révolutions de couleur qui ont échoué.

Le ministre des Affaires étrangères Lavrov a rappelé que les possibilités d’un dangereux conflit mondial allaient croissant en raison de l’absence de préoccupation, de la part des Etats-Unis et de l’OTAN, pour la sécurité des autres et l’absence de dialogue constructif. Dans son argumentation, Lavrov a cité le président américain Franklin Roosevelt, qui a dit:

«Il n’y a pas de juste milieu ici. Nous aurons à prendre la responsabilité de la collaboration mondiale, ou nous aurons à porter la responsabilité d’un autre conflit mondial «Je crois qu’ils ont formulé l’une des principales leçons du conflit mondial le plus dévastateur de l’Histoire: il est seulement possible de relever les défis communs et de préserver la paix par des efforts collectifs, basés sur le respect des intérêts légitimes de tous les partenaires » , a-t-il expliqué à propos de ce que les dirigeants mondiaux avaient appris de la Seconde Guerre mondiale.

Shoigu a eu plus de dix réunions bilatérales avec les différents ministres et responsables de la Défense qui sont venus à Moscou pour la CMSI. Lors d’une réunion avec le ministre serbe de la Défense Bratislav Gasic, Shoigu a dit que Moscou considère Belgrade comme un partenaire fiable en termes de coopération militaire.

Russie

De g. à dr.: Sergei Lavrov, ministre des Affaires étrangères, Sergei Shoigu, ministre de la Défense, Nikolai Patrushev, secrétaire au Conseil de sécurité et Valery Gerasimov, chef de l’état-major général, participant à la 4e Conférence de Moscou sur la sécurité (RIA Novosti / Iliya Pitalev)

Une coalition sino-russo-iranienne: le cauchemar de Washington

Le mythe que la Russie est isolée sur le plan international a de nouveau été démoli pendant la conférence, qui a aussi débouché sur quelques annonces importantes.

Le ministre kazakh de la Défense Imangali Tasmagambetov et Shoigu ont annoncé que la mise en œuvre d’un système de défense aérienne commun entre le Kazakhstan et la Russie a commencé. Cela n’indique pas seulement l’intégration de l’espace aérien de l’Organisation du traité de sécurité collective, cela définit aussi une tendance. Cela a été le prélude à d’autres annonces contre le bouclier de défense antimissile de l’OTAN.

La déclaration la plus vigoureuse est venue du ministre iranien de la Défense Hossein Dehghan. Le brigadier-général Dehghan a dit que l’Iran voulait que la Chine, l’Inde et la Russie s’unissent pour s’opposer conjointement à l’expansion à l’est de l’OTAN et à la menace à leur sécurité collective que constitue le projet de bouclier antimissile de l’Alliance.

Lors d’une réunion avec le ministre chinois des Affaires étrangères Chang Wanquan, Shoigu a souligné que les liens militaires de Moscou avec Beijing étaient sa «priorité absolue». Dans une autre rencontre bilatérale, les gros bonnets de la défense iraniens et russes ont confirmé que leur coopération sera une des pierres angulaires d’un nouvel ordre multipolaire et que Moscou et Téhéran étaient en harmonie quant à leur approche stratégique des Etats-Unis.

Après la rencontre de Hossein Dehghan et la délégation iranienne avec leurs homologues russes, il a été annoncé qu’un sommet tripartite se tiendrait entre Beijing, Moscou et Téhéran. L’idée a été avalisée ensuite par la délégation chinoise.

Le contexte géopolitique change et il n’est pas favorable aux intérêts états-uniens. Non seulement l’Union économique eurasienne a été formée par l’Arménie, la Biélorussie, le Kazakhstan et la Russie au cœur post-soviétique de l’Eurasie, mais Pékin, Moscou et Téhéran – la Triple entente eurasienne – sont entrés dans un long processus de rapprochement politique, stratégique, économique, diplomatique et militaire.

L’harmonie et l’intégration eurasiennes contestent la position des Etats-Unis sur leur perchoir occidental et leur statut de tête de pont en Europe, et même incitent les alliés des Etats-Unis à agir de manière plus indépendante. C’est l’un des thèmes centraux examinés dans mon livre The Globalization of NATO [La mondialisation de l’OTAN].

L’ancien grand ponte états-unien de la sécurité Zbigniew Brzezinski a mis en garde les élites américaines contre la formation d’une coalition eurasienne «qui pourrait éventuellement chercher à contester la primauté de l’Amérique». Selon Brzezinski, une telle alliance eurasienne pourrait naître d’une «coalition sino-russo-iranienne» avec Beijing pour centre.

«Pour les stratèges chinois, face à la coalition trilatérale de l’Amérique, de l’Europe et du Japon, la riposte géopolitique la plus efficace pourrait bien être de tenter et de façonner une triple alliance qui leur soit propre, liant la Chine à l’Iran dans la région golfe Persique/Moyen-Orient et avec la Russie dans la région de l’ancienne Union soviétique», avertit Brzezinski.

«Dans l’évaluation des futures options de la Chine, il faut aussi considérer la possibilité qu’une Chine florissante économiquement et confiante en elle politiquement – mais qui se sent exclue du système mondial et qui décide de devenir à la fois l’avocat et le leader des Etats démunis dans le monde –  décide d’opposer non seulement une doctrine claire mais aussi un puissant défi géopolitique au monde trilatéral dominant», explique-t-il.

C’est plus ou moins la piste que les Chinois sont en train de suivre. Le ministre Wanquan a carrément dit à la CMSI qu’un ordre mondial équitable était nécessaire.

La menace pour les Etats-Unis est qu’une coalition sino-russo-iranienne puisse, selon les propres mots de Brzezinski, «être un aimant puissant pour les autres Etats mécontents du statu quo».

russie

Un soldat pendant un exercice impliquant les systèmes de missiles sol-air S-300/SA sur le terrain d’entraînement d’Ashuluk, dans la région  d’Astrakhan (RIA Novosti / Pavel Lisitsyn)

Contrer le bouclier anti-missile des Etats-Unis et de l’OTAN en Eurasie

Washington érige un nouveau Rideau de fer autour de la Chine, de l’Iran, de la Russie et de leurs alliés au moyen de l’infrastructure de missiles des Etats-Unis et de l’OTAN.

L’objectif du Pentagone est de neutraliser toutes les ripostes défensives de la Russie et des autres puissances eurasiennes à une attaque de missiles balistiques US, qui pourrait inclure une première frappe nucléaire. Washington ne veut pas permettre à la Russie ou à d’autres d’être capables d’une seconde frappe ou, en d’autres termes, ne veut pas permettre à la Russie ou à d’autres d’être en mesure de riposter à une attaque par le Pentagone.

En 2011, il a été rapporté que le vice-Premier ministre Dmitri Rogozine, qui était alors envoyé de Moscou auprès de l’OTAN, se rendrait à Téhéran pour parler du projet de bouclier antimissile de l’OTAN. Divers articles ont été publiés, y compris par le Tehran Times, affirmant que les gouvernements de Russie, d’Iran et de Chine projetaient de créer un bouclier antimissile commun pour contrer les Etats-Unis et l’OTAN. Rogozine, toutefois, a réfuté ces articles. Il a dit que cette défense antimissile était discutée entre le Kremlin et ses alliés militaires dans le cadre de l’Organisation du traité de sécurité collective (OTSC).

L’idée de coopération dans la défense entre la Chine, l’Iran et la Russie, contre le bouclier antimissile de l’OTAN est restée d’actualité depuis 2011. Dès lors, l’Iran s’est rapproché pour devenir un observateur dans l’OTSC, comme l’Afghanistan et la Serbie. Beijing, Moscou et Téhéran se sont rapprochés aussi en raison de problèmes comme la Syrie, l’Euro-Maïdan et le pivot vers l’Asie du Pentagone. L’appel de Hossein Dehghan à une approche collective par la Chine, l’Inde, l’Iran et la Russie contre le bouclier antimissile et l’expansion de l’OTAN, couplé aux annonces faites à la CMSI sur des pourparlers militaires tripartites entre la Chine, l’Iran et la Russie, vont aussi dans ce sens.

Les systèmes de défense aérienne russes S-300 et S-400 sont en cours de déploiement dans toute l’Eurasie, depuis l’Arménie et la Biélorussie jusqu’au Kamchatka, dans le cadre d’une contre-manœuvre au nouveau Rideau de fer.  Ces systèmes de défense aérienne rendent beaucoup plus difficiles les objectifs de Washington de neutraliser toute possibilité de réaction ou de seconde frappe.

Même les responsables de l’OTAN et le Pentagone, qui se sont référés aux S-300 comme le système SA-20, l’admettent. « Nous l’avons étudié nous sommes formés pour le contrer depuis des années. Nous n’en avons pas peur, mais nous respectons le S-300 pour ce qu’il est: un système de missiles très mobile, précis et mortel », a écrit le colonel de l’US Air Force Clint Hinote pour le Conseil des relations étrangères basé à Washington.

Bien qu’il y ait eu des spéculations sur le fait que la vente des systèmes S-300 à l’Iran serait le point de départ d’un pactole provenant de Téhéran dû aux ventes internationales d’armes, résultat des négociations de Lausanne, et que Moscou cherche à avoir un avantage concurrentiel dans la réouverture du marché iranien, en réalité la situation et les motivations sont très différentes. Même si Téhéran achète différentes quantités de matériel militaire à la Russie et à d’autres sources étrangères, il a une politique d’autosuffisance militaire et fabrique principalement ses propres armes. Toute une série de matériel militaire – allant des chars d’assaut, missiles, avions de combat, détecteurs de radar, fusils et drones, hélicoptères, torpilles, obus de mortier, navires de guerre et sous-marins – est fabriqué à l’intérieur de l’Iran. L’armée iranienne soutient même que leur système de défense aérienne Bavar-373 est plus ou moins l’équivalent du S-300.

La livraison par Moscou du paquet de S-300 à Téhéran est plus qu’une simple affaire commerciale. Elle est destinée à sceller la coopération militaire russo-iranienne et à renforcer la coopération eurasienne contre l’encerclement du bouclier anti-missiles de Washington. C’est un pas de plus dans la création d’un réseau de défense aérienne eurasienne contre la menace que font peser les missiles des Etats-Unis et de l’OTAN sur des pays qui osent ne pas s’agenouiller devant Washington.

Par Mahdi Darius Nazemroaya –  23 avril 2015

Mahdi Darius Nazemroaya est sociologue, un auteur primé et un analyste géopolitique.

Article original : http://rt.com/op-edge/252469-moscow-conference-international-security-nato/

Traduit de l’anglais par Diane Gilliard

URL de cet article : http://arretsurinfo.ch/une-coalition-sino-russo-iranienne-opposee-a-lotan-debute-t-elle-a-moscou/

dimanche, 03 mai 2015

Sommet de l'ASEAN: Washington n'obtiendra pas de mobilisation contre Pékin

logoasean.jpg

Sommet de l'ASEAN: Washington n'obtiendra pas de mobilisation contre Pékin

par Jean Paul Baquiast

Ex: http://www.europesolidaire.eu

Le 26e Sommet de l'ASEAN ayant pour thème "Notre peuple, notre communauté, notre vision" a été inauguré le 27 avril dans la capitale malaisienne Kuala Lumpur.
 
Lors de ce sommet, les dirigeants des dix pays membres de l'ASEAN discuteront des orientations et des mesures destinées à continuer d'impulser l'édification de la Communauté de l'ASEAN en 2015. Il s'agira aussi de discuter de l'élaboration de la Vision de l'ASEAN pour l'après 2015, de l'amélioration de l'appareil et du mode de travail, du renforcement des relations extérieures du bloc régional et de son rôle central, de ses défis et de leur traitement. Enfin, ils échangeront des considérations à propos de la situation régionale et internationale. , a-t-il poursuivi.

Devant les dirigeants de l'ASEAN, le Premier ministre malaisien Najib Razak a insisté à plusieurs reprises sur l'objectif de l'ASEAN centré sur le peuple, qui demande aux pays membres une bonne gouvernance pour améliorer les conditions de vie de leurs citoyens, accélérer le développement durable, promouvoir l'autonomisation des femmes, et créer davantage d'opportunités pour tous. Il a également insisté sur la nécessité de régler de façon pacifique les désaccords dans la région, y compris les revendications de souveraineté dans les zones maritimes dite de la Mer orientale en évitant d'aggraver les tensions. Selon lui, les dernières évolutions ont accru les préoccupations concernant la question de la Mer Orientale et témoignent de l'importance des lignes de transport international pour le commerce international. Il est nécessaire que l'ASEAN règle ces évolutions de façon constructive et positive.

Derrière ces considérations officielles, que nous reprenons sans commentaire, se trouve un affrontement grandissant entre les Etats-Unis et la Chine. Celui-ci résulte de la volonté américaine de renforcer sa présence militaire et diplomatique dans la zone. Elle est contrée par une volonté chinoise d'affirmer sa propre présence. Les pays membres de l' ASEAN sont très sensibles aux interventions américaines. Beaucoup se considèrent comme des alliés des Etats-Unis. Néanmoins, ils ne veulent pas affronter, même dans les propos, le grand voisin chinois.

Un Otan asiatique?

Washington ne manque pas une occasion permettant de renforcer les antagonismes avec la Chine. Dans le cadre du « pivot vers l'Asie », il avait paru à beaucoup d'observateurs que Barack Obama rêvait de mettre en place un Otan asiatique composé sous le leadership américain d'un certain nombre des pays de l'ASEAN. Pour cela il compte beaucoup sur la volonté du Vietnam, des Philippines, de la Malaisie et de Brunei, notamment, de conserver des positions stratégiques en Mer de Chine.

Les jours précédents le sommet, la CIA a fait circuler des photos satellites montrant une flottille de bateau chinois draguant du sable autour du Mischief Reef, atoll corallien proche des Philippines et réclamé par Manille. L'objectif serait d'y construire une ile artificielle dotée d'un aéroport dont la Chine se réserverait l'usage.

Le président des Philippines Benigno Aquino a de son côté relayé des protestations de Manille concernant des menaces exercées par des garde-côtes chinois à l'encontre de flottilles de pèche. Il a laissé entendre que la Chine voulait se donner les bases d'une présence permanente en Mer de Chine.

Les Philippines et Manille, fortement incitées par Washington, souhaitaient que le Sommet soit l'occasion d'une forte réaction à l'égard de la Chine, pouvant éventuellement prendre la forme de menaces d'affrontements navals. Mais les autres membres de l'ASEAN sont très attachés à conserver de bonnes relations avec Pékin, diplomatiques mais aussi commerciales. Par ailleurs ils s'intéressent moins que les Philippines et la Malaisie aux questions de souveraineté en Mer de Chine

Il semble donc, au soir du premier jour du sommet, que celui-ci se bornera à recommander la mise en place d'un code de bonne conduite visant à protéger la paix en Mer de Chine. Les discussions sur les termes de celui-ci avaient commencé en 2013. Elles risqueront de se poursuivre encore un certain temps, au grand déplaisir des Etats-Unis.

En marge du Sommet, il faut noter que plusieurs islamistes soupçonnés de préparer des attentats à Manille et se réclamant d'Al Qaida en Asie ont été arrêtes. Le risque n'est pas mineur, vu que la Malaisie est en majorité musulmane. Des centaines de djihadistes malais et indonésiens auraient déjà rejoint l'Etat islamique en Syrie.

PS. Voir un compte rendu du sommet à la date du 28 avril, publié par le World Socialist Web Site. Il nous parait très objectif

http://www.wsws.org/en/articles/2015/04/28/asea-a28.html

Note

Wikipedia Asean http://fr.wikipedia.org/wiki/Association_des_nations_de_l%27Asie_du_Sud-Est

Jean Paul Baquiast

samedi, 02 mai 2015

Geopolitics of Japan: A New Warrior Benkei Spirit is Needed to Move Closer to China and Russia

samurai_spirit____by_lumieresombre-d3g5ifj.jpg

Geopolitics of Japan: A New Warrior Benkei Spirit is Needed to Move Closer to China and Russia

Lee Jay Walker

Modern Tokyo Times

Since the post-World War Two period it is abundantly obvious that America predominates when it comes to the foreign policy of Japan. Indeed, the relationship, despite having some ups and downs, continues to blossom based on elites in Tokyo being preoccupied with placating Washington when possible. This reality occupies the geopolitical space of Japan despite certain negatives in relation to China and the Russian Federation. Therefore, political elites in Beijing and Moscow keep a close eye on the ambitions of America in Northeast Asia based on utilizing the territorial integrity of Japan.

Of course, nothing is that clear-cut because Japan often tries to boost America based on favorable exchange rates in recent times, helping to preserve the strength of the US dollar, supporting America financially in the area of military support in Afghanistan and Iraq – and in many other important areas. Similarly, Japan maintains a more balanced approach to Middle East issues in relation to Israel and surrounding nations. Therefore, Japan isn’t afraid to say “no” when the time demands but overall it is clear that relations between America and Japan remain extremely potent.

However, the post-World War Two legacy should now be firmly put aside because the changing sands now highlight a robust Russian Federation. This notably applies to the area of foreign policy, energy networks, a powerful military arms industry, space technology, the utilization of the United Nations and an array of other important areas – for example having favorable relations with all major emerging economic powers within BRIC and so forth.

At the same time, it is clear that the Russian Federation could boost Japan dramatically throughout Central Asia, Northeast Asia and the vast space of Eurasia. This notably applies to energy related areas and enabling Japan to foster more powerful relations with nations throughout the “geopolitical space” of the Russian Federation. Indeed, northern Japan and the Sea of Japan economic zone would also gain greatly from improved economic, political and military relations between Moscow and Tokyo.

Therefore, Japan should realize that America doesn’t resemble the loyalty of the esteemed Saito no Musashibo Benkei. Likewise, the geopolitical containment policy of America, with regards to China and the Russian Federation, means that Japan is being dragged into a powerful reality that doesn’t serve the future interests of the land of the rising sun. After all, despite China facing internal dangers in relation to the one-party-state, Tibet and the mainly Muslim regions of Western China (Han migration is altering the demographic landscape of both Tibet and Xinjiang); it still appears that China will continue to grow in influence within the global economy. Therefore, China and the Russian Federation could easily boost Japan in many vital areas and this also applies to stability throughout Northeast Asia.

In another article about Benkei by Modern Tokyo Times it was stated: In Japanese culture, history and art, it is clear that Saito no Musashibo Benkei left a lasting impression and this continues today in modern culture. This legendary warrior monk belongs to the intriguing period of the 12th century in Japan. He was born in 1155 and died in 1189 after serving the famous Minamoto no Yoshitsune … Benkei is famous within Japanese Folklore because of his enormous strength and amazing loyalty.”

Not surprisingly, the warrior class bestowed great admiration towards Benkei based on his strength, loyalty and wisdom. Yet unlike political elites in modern Japan the dynamics of Benkei apply to internal loyalty. This is a far cry from the internal political reality of modern Japan because often this nation placates America even when it creates geopolitical headaches for Tokyo. Therefore, Japan should focus on its loyalty towards itself rather than placating the whims of Washington.

Of course, Japan needs to maintain strong relations with America but these relations should not be detrimental towards China and the Russian Federation. Similarly, within Japan the military of America is not purely negative despite major tensions in Okinawa. For example, America could be deemed to be “a protectionist power” based on the military might of the armed forces of this nation. Likewise, during several devastating earthquakes and the utter havoc generated by the brutal tsunami, then clearly the armed forces of America helped the people of Japan based on bravery and genuine support. Therefore, the geopolitical and military relationship between America and Japan does suit both nations even if changes may occur in the future. However, Japan should not put everything into “one American basket” – therefore growing ties with China and the Russia Federation is in the interest of the land of the rising sun.

The Toshidama Gallery says Benkei: “… was raised by monks who were both religious and military. As a young man he positioned himself at one end of Gojo Bridge and disarmed travelers of their swords. On reaching his 999th sword he fought with a young nobleman, Minamoto no Yoshitsune, who won the battle of the bridge and thereafter Benkei served as his principal retainer. They fought in the Gempei Wars between the Taira clan and their own Minamoto clan.”

However, while the loyalty of Benkei isn’t up to questioning can the same be said about America and Japan relations in the modern world? Also, while Japan is being loyal towards Washington can the same be said about America in the long-term?

Samurai_Spirit_Two_by_Artgerm.jpg

On top of this, would Benkei endanger “the bigger picture” based on an unbalanced relationship with two powerful regional powers? Therefore, while America and Japan will continue to consolidate the current relationship between both nations, this doesn’t guarantee future stability. After all, if China continues to grow in the area of economics then will America jump ship and gradually focus on Beijing being the future essential pivot?

Irrespective of the answer, it appears that Japan should rethink its current foreign policy entanglements based on America’s containment policies towards China and the Russian Federation. Instead, Japan should focus heavily on internal loyalty and adopt a foreign policy based on self-interests, pragmatism and developing closer ties with China and the Russian Federation. If so, then political elites in Beijing and Moscow will take Tokyo seriously even if powerful relations between America and Japan continue.

http://www.toshidama-japanese-prints.com/item_473/Toshihide-Portraits-of-Sansho–Ichikawa-Danjuro-IX-as-Benkei-1893.htm

http://www.toshidama-japanese-prints.com/item_391/Kunisada-Benkei-and-Yoshitsune-fighting-on-Gojo-Bridge.htm

http://www.toshidama-japanese-prints.com/item_237/Kunisada-Portrait-of-Benkei.htm

http://www.toshidama-japanese-prints.com/item_246/Yoshitaki-Benkei-and-Yoshitsune-at-Gojo-Bridge.htm

mtt

 

Modern Tokyo News is part of the Modern Tokyo Times group

http://moderntokyotimes.com Modern Tokyo Times – International News and Japan News

http://sawandjay.com Modern Tokyo Times – Fashion

https://moderntokyonews.com Modern Tokyo News – Tokyo News and International News

http://global-security-news.com Global Security News – Geopolitics and Terrorism

Vietnam: Que s’est-il passé il y a 40 ans?

saigon.large1.jpg

Vietnam: Que s’est-il passé il y a 40 ans?

Le 30 avril 1975 Saigon tombait, les derniers Américains fuyaient le Vietnam, qui était enfin réunifié. La guerre du Vietnam, commencée 30 ans plus tôt lors de la tentative de reconquête française de l’Indochine, se terminait.

Pour les millions de morts de cette guerre, il n’y aura aucune minute de silence, aucune commémoration solennelle, aucun « devoir de mémoire », aucun « plus jamais ça ». C’est vrai qu’il ne s’agissait pas d’un génocide: « simplement » des années de bombardements massifs et de tueries systématiques d’un peuple qui voulait être indépendant. Pourquoi s’en faire pour si peu?

Contrairement au nazisme qui a complètement disparu mais contre lequel on nous « met en garde » tous les jours, le « çà » de la guerre du Vietnam a continué, à travers la politique américaine en Amérique centrale et en Afrique australe et surtout aujourd’hui, au Moyen-Orient. La « guerre à la terreur » a déjà fait plus d’un million de morts et est loin d’être terminée.

Que disent nos grandes consciences morales européennes, celles qui déplorent les morts en Méditerranée par exemple, à ce sujet? Combien d’appels à quitter le navire à la dérive de la politique impérialiste américaine? A faire vraiment la paix avec la Russie et l’Iran? A cesser notre politique d’ingérence perpétuelle et dans laquelle nous ne sommes que les auxiliaires (dans le temps, on disait « laquais ») des Etats-Unis?

A l’époque de la guerre du Vietnam, des dirigeants européens éclairés, comme Olof Palme en Suède et De Gaulle en France prenaient ouvertement position contre la politique américaine. Des intellectuels comme Russell et Sartre mobilisaient l’opinion contre la guerre. Des manifestations avaient lieu même dans des pays comme la France qui étaient éloignés du conflit. Et aujourd’hui? Rien. Lors de la guerre contre le Libye, presque toute l’opinion, en tout cas « de gauche » ou « démocrate » a appuyé cette guerre.

Teenage-South-Vietnamese-Soldiers-VIET-AAP.jpg

La fin de la guerre du Vietnam fut la fin d’une époque, celle des luttes de libération nationale qui ont constitué sans doute le mouvement politique le plus important du 20è siècle. En Occident, ce fut le début de la reconstruction de l’idéologie impériale, mais sous le couvert des droits de l’homme. La tragédie des boat people au Vietnam et des massacres au Cambodge à l’époque des Khmers rouges, a permis à l’intelligentsia en France et aux Etats-Unis de se draper dans le manteau de la « solidarité » avec les « victimes », d’oublier toute analyse des causes et des effets (les Khmers rouges n’auraient jamais pris le pouvoir sans les bombardements américains sur le Cambodge) et d’inventer le droit d’ingérence humanitaire de façon à détruire le droit international et la Charte des Nations Unies.

Ce fut la BHLisation des esprits et le début de la « nouvelle gauche », plus ou moins héritière de Mai 68, post et anti-communiste qui a, sur le plan international, pris l’exact contre-pied de l’ancienne gauche: alors que celle-ci défendait le droit international et la coexistence pacifique et était hostile à la politique américaine, la « nouvelle gauche » soutient toutes les « révolutions » et tous les « printemps », indépendamment de leur contenu politique et en ignorant les rapports de force sous-jacents. Seuls comptent les « droits de l’homme », du moins de ceux qui sont mis en avant par les médias.

Aujourd’hui, cette nouvelle gauche, ainsi que la politique américaine, à laquelle elle a servi de paravant idéologique, est dans une impasse totale, tant au Moyen Orient que face à la Russie et la Chine. Quarante ans après la libération du Vietnam, on assiste à de nouveaux lendemains qui déchantent et de nouvelles révisions déchirantes s’imposent. Mais qui osera les faire?

Par Jean Bricmont | 30 avril 2015

Professeur de physique théorique et mathématique, Université de Louvain, Belgique. Auteur de plusieurs articles sur Chomsky, co-directeur du Cahier de L’Herne n° 88 consacré à Noam Chomsky, Jean Bricmont a publié notamment avec Alan Sokal Impostures intellectuelles (1997), À l’ombre des Lumières avec Régis Debray (2003) et Impérialisme humanitaire (2005). Son dernier ouvrage : La République des censeurs. Editions de l’Herne, 2014

Source: http://arretsurinfo.ch/que-sest-il-passe-il-y-a-40-ans/

mercredi, 29 avril 2015

Chine, Pakistan ...et Inde

corridor.png

Chine, Pakistan ...et Inde

par Jean Paul Baquiast

Ex: http://www.europesolidaire.eu

Il n'est pas impossible que la Chine et l'Inde qui jusqu'ici semblaient s'accorder pour coopérer à l'intérieur du groupe Brics, commencent à devoir élargir leurs perspectives.

Certes, Chine et Inde partagent de nombreux domaines où la coopération n'ira pas de soi vu la concurrence inévitable entre ces deux grands pays. Mais on peut penser qu'un autre sujet pourrait rapidement susciter des méfiances, tout au moins en Inde. Il s'agirait des projets de coopération qu'entretiennent la Chine et le Pakistan. Le Pakistan est un pays musulman, de plus en plus d'ailleurs pénétré de mouvements islamistes, voire éventuellement djihadistes. L'Inde est hindouiste. Dès leur indépendance, les deux pays se sont affrontés sur de nombreux points, y compris en termes de puissance militaire.

On se souvient qu'il y a quelques mois, une visite en Inde de Barack Obama, qui devait inaugurer une grandiose coopération américano-indienne, n'a pas eu tous les résultats espérés par les Américains, notamment en termes industriels. Narendra Modi, déjà au pouvoir à l'époque, avait (à juste titre) suspecté Barack Obama de vouloir mettre les technologies américaines au service, non seulement de l'Inde, mais du Pakistan.

Aujourd'hui un grand programme chinois vise à développer un "corridor" sur le territoire pakistanais, dans une des versions de la grandiose route de la soie permettant à la Chine de s'étendre vers l'ouest. Il s'agit d'un programme discuté parmi plus d'une cinquantaine d'autres d'un montant total de 28 milliards de dollars, les 20 et 21 avril, au cours de la visite officielle du président chinois Xi Jinping au Pakistan. Cette visite a été reçue par les autorités pakistanaises comme un événement majeur

Dans ce programme de corridor, le Pakistan deviendra un maillon essentiel de la relation que la Chine veut établir vers la mer d'Oman et le Moyen-Orient. Le port de Gwadar, à l'extrémité sud-ouest du Pakistan, à 100 km de l'Iran, devrait être relié avec Kashgar, ville importante de l'ouest du Xinjiang chinois, non loin de la frontière pakistanaise. La liaison devrait comporter des routes, des lignes de chemins de fer et des pipelines.Deux routes seront possibles, l'une au sud, plus longue mais plus sûre, l'autre au nord (voir la carte ci dessus, proposée sur le site du journal Le Monde).

La visite s'est conclue sur une déclaration du premier ministre pakistanais Nawaz Sharif : « Ce corridor permettra de transformer le Pakistan en carrefour régional, notre amitié avec la Chine est la pierre angulaire de notre politique étrangère » a-t-il affirmé. On peut penser que cet enthousiasme ne sera pas entièrement partagé par les autorités indiennes.

Addendum

Pour l'ancien diplomate indien et grand chroniqueur MK Bhadrakumar, que nous citons souvent, la visite de Xi au Pakistan et l'accueil qu'il a reçu pourraient significativement changer l'ensemble des perspectives diplomatiques en Asie. Il a noté sur son blog 10 points dont chacun, à l'en croire, pourrait être à lui seul une petite révolution : http://blogs.rediff.com/mkbhadrakumar/author/bhadrakumaranrediffmailcom/

  1. Les relations entre la Chine et le Pakistan se transforment. Les investissements chinois massifs profiteront, non seulement à la Chine, mais au Pakistan. Il s'agira d'une relation gagnant-gagnant. Le « corridor » prévu permettra à la Chine, non seulement d'accéder aux marchés mondiaux mais d'investir massivement au Pakistan. Elle devient ainsi garante de la stabilité et la sécurité du Pakistan, qui voit son statut international conforté.

  2. La Chine fait confiance au Pakistan, dans le présent comme dans le futur. Celui-ci pourra donc se débarrasser de son image d'Etat failli servant de repaire à des groupes terroristes. Xi a d'ailleurs félicité le Pakistan pour ses actions anti-terroristes.

  1. La Chine remplace les Etats-Unis dans le rôle de premier allié du Pakistan. Il va s'établir une alliance de peuple à peuple entre la Chine et le Pakistan, au contraire des relations avec l'Amérique qui est à la fois crainte et détestée par la population.

  2. Grâce à l'alliance chinoise, les différences de puissance entre l'Inde et le Pakistan diminueront, que ce soit au plan économique ou militaire. Le Pakistan pourra ainsi devenir attractif pour les investisseurs étrangers. Le label « made in Pakistan » concurrencera le « made in India ». Ceci d'autant plus que les indicateurs économiques et budgétaires pakistanais sont meilleurs que ceux de l'Inde. La Chine pourra ainsi favoriser l'entrée du Pakistan dans le groupe des Brics.

  1. Il en résultera d'importantes réorientations stratégiques au Pakistan. Les élites jusqu'ici traditionnellement portées vers l'Occident, malgré l'hostilité de la population, se tourneront vers d'autres horizons, notamment vers les membres du Brics, en premier lieu, sans compter la Chine, vers la Russie, puis à terme l'Iran, les Etats d'Asie centrale et même l'Inde.

  2. Le renforcement de l'influence chinoise au Pakistan contribuera à la stabilisation de la situation politique en Afghanistan, ce que les Etats-Unis n'ont jamais réussi à faire. La Chine permettra également aux membres du Brics de stabiliser leurs relations avec l'Afghanistan.

  3. La marine chinoise (navires de surface et sous-marins) pourra utiliser le port pakistanais de Gwadar, ce qui renforcera la présence chinoise dans le golfe d'Oman et l'océan indien.

  4. Les capitales du sud-est asiatique observeront attentivement comment évoluera la relation sino-pakistanaise, afin de ne pas en être exclues, tant au plan économique que politique. .

  5. La stratégie américaine, anti-russe et anti-chinoise, visant notamment à isoler la Chine, considérée comme un ennemi potentiel, devra être revue. La Russie, de son côté, jusqu'ici préoccupée par les mouvements islamistes radicaux au Pakistan, pourra devenir moins méfiante. La Chine et la Russie renforceront leurs liens avec l'Iran simultanément de ceux avec le Pakistan. Il en résultera que l'Iran et le Pakistan seront encouragés à devenir membres de l'organisation de Coopération de Shanghai.

  6. L'Inde devra elle aussi modifier profondément sa stratégie internationale. Elle est confrontée à un dilemme « existentiel ». Elle ne pourra pas poursuive une politique de méfiance à l'égard de la Chine. Au contraire, elle devra se joindre aux projets de coopération et d'investissements proposés par cette dernière. La visite de Xi au Pakistan obligera Narandra Modi, jusqu'ici très méfiant à l'égard de la Chine, à se faire plus coopératif. Ceci devrait changer le sens du déplacement de Modi à Pékin prévue dans trois semaines. D'une façon générale, l'Inde devra modifier en profondeur ses relations avec la Chine, afin de profiter de ses capacités d'investissement. En contrepartie, elle devra perdre de son intérêt pour ses relations avec l'occident, qui ne lui ont jamais rien rapporté. Modi pour ce qui le concerne doit faire confiance à la Chine de la même façon que celle-ci fait confiance au Pakistan, malgré le poids qu'y ont encore les éléments islamistes radicaux.


Notre commentaire

Manifestement, MK Bhadrakumar n'aime guère Narendra Modi. Ceci le conduit à voir avec sans doute un peu trop d'optimiste les relations de l'Inde avec la Chine et et celles de la Chine avec le Pakistan. Il n'est pas certain que l'Inde dans ses profondeurs puisse rapidement abandonner son hostilité profonde vis-à-vis du Pakistan. MK Bhadrakumar est peut-être aussi un peu trop optimiste concernant les changements radicaux de paradigmes politiques qu'apporteraient en Asie et même dans le reste du monde le rapprochement Chine-Pakistan. Néanmoins, pour l'essentiel, ses analyses paraissent pertinentes.

Comme lui, par ailleurs, on peut penser que le rapprochement Chine-Pakistan marque un nouveau revers pour la politique militariste d'Obama contre la Chine, résultant du « pivot vers l'Asie » que celui-ci avait entrepris. Nous ne nous en plaindrons pas.

 

Jean Paul Baquiast

lundi, 27 avril 2015

Les USA jonglent entre chaos et coordination pour contenir la Chine

CAEUElQVIAI9kWp.jpg large.jpg

Les USA jonglent entre chaos et coordination pour contenir la Chine

Par Andrew Korybko

Ex: http://www.cercledesvolontaires.fr

Ce n’est aujourd’hui plus un secret que les USA sont résolus à contenir la Chine, tout en évitant soigneusement de s’engager dans une confrontation directe avec elle. En lieu et place, les USA entretiennent une double politique de création de chaos aux franges de l’ouest et du sud-ouest de la Chine tout en coordonnant une alliance d’endiguement le long du sud-est et du nord-est de sa périphérie. L’Asie Centrale, le nord-est de l’Inde et le Myanmar en représentent les composantes chaotiques, tandis que les « porte-avions insubmersibles » du Japon et des Philippines en sont les composantes coordonnées.

De cette façon les USA encerclent littéralement le pays avec des situations et des états hostiles (avec l’exception évidente étant la frontière russe), espérant que ceci puisse désorienter les décideurs politiques chinois et par voie de conséquence paver la route de l’infiltration interne à travers la déstabilisation externe. Au milieu de tous ces complots la Chine ne reste pas inactive ou passive, puisqu’elle a trois stratégies spécifiques à l’esprit pour briser la Coalition d’Endiguement Chinois (CEC) et contrer le pivot des USA vers l’Asie.

Cultiver le chaos

La stratégie de la CEC à l’ouest et au sud-ouest est de créer une ‘frange régionale’ déstabilisée à même d’infecter les provinces périphériques vulnérables de la Chine par son chaos contagieux. Cette section examine comment la grande stratégie US en Asie Centrale et dans l’ouest de l’Asie du Sud-Est est conçue précisément à cette fin, alors qu’une publication précédente de l’auteur avait déjà exploré les perspectives d’une réaction en chaîne de Révolutions Colorées émanant depuis Hong-Kong.

Turkménistan : l’état ‘ermite’ d’Asie Centrale est identifié comme le pays étant le plus vulnérable à une offensive transnationale des Talibans, dans un avenir indéfini. Si ceci devait se produire et que le pays n’était pas suffisamment prêt à se défendre, alors les conséquences désastreuses s’étendraient immédiatement à la Russie, à l’Iran et à la Chine, tel qu’il a été expliqué dans un article antérieur de l’auteur. En ce qui concerne cette dernière, ceci implique une déstabilisation massive des importations régionales chinoises de gaz naturel de la part de son plus grand fournisseur actuel, ce qui aurait évidemment des répercussions négatives au Xinjiang, ultime cible des politiques de chaos US en Asie Centrale en rapport avec la République Populaire. Plus les importations énergétiques chinoises continentales sont menacées et périlleuses, plus le pays doit s’appuyer sur leur réception par voie maritime ce qui, au regard de la supériorité navale US les place directement sous le contrôle de Washington dans l’éventualité d’une crise.

Kirghizistan : la menace stratégique émanant du Kirghizistan est plus tangible que celle trouvant son origine au Turkménistan, en ce que la république montagneuse borde directement le Xinjiang. À l’examen de la stratégie destructrice des USA en Asie Centrale, il devient évident qu’ils ont un intérêt à provoquer la chute du gouvernement kirghize par le biais d’une autre Révolution Colorée afin, entre autres choses, de créer un havre terroriste ouïghour pouvant enflammer l’insurrection ethnico-religieuse dirigée depuis l’extérieur contre Beijing. Du point de vue de la politique étrangère US, donc, une crise au Kirghizistan est un levier géopolitique qui peut être actionné pour activer davantage d’instabilité au Xinjiang, avec l’objectif d’attirer potentiellement l’Armée de Libération du Peuple dans un bourbier. Dans le schéma général des choses, les deux républiques d’Asie Centrale, le Turkménistan et le Kirghizistan, sont essentiellement des armes anti-Chinois attendant d’être (dé)construites par les USA pour être utilisées contre la province stratégique du Xinjiang, avec l’Ouzbékistan jouant aussi un rôle similaire s’il devait imploser (ou y être incité par les USA).

Inde du nord-est : dans ce recoin de l’Inde, qui peut être culturellement considéré comme la frange du nord-est de l’Asie du Sud-Est, la foule de tensions ethniques et d’insurrections émergentes qui ont lieu pourraient faire le bond d’une crise domestique, à une crise d’ampleur internationale. L’auteur avait précédemment évalué que l’une des répercussions de la violence de l’année dernière inspirée par Bodo avait été de déstabiliser la proposition de couloir commercial Bangladesh-Chine-Inde-Myanmar (BCIM), affectant négativement les projets de Beijing pour une ‘Route de la Soie du Golfe du Bengale’. Toutefois, l’internationalisation de la situation pourrait voir les guerres ethniques encourager des acteurs militants non-étatiques au Myanmar, avec comme objectif final qu’ils en viennent à déstabiliser la province du Yunnan, la région chinoise ayant la plus grande diversité culturelle et ayant été comparée à ‘un microcosme parfait‘ du pays entier. Bien que pour le moment aucune preuve n’a été avancée pouvant suggérer que les USA aient joué le moindre rôle dans l’instigation des dernières violences dans la province de l’Assam, cela n’implique pas qu’ils ne puissent pas le faire à l’avenir, surtout maintenant que les dés de la tension ethnique ont été jetés. Cette Épée de Damoclès est perpétuellement suspendue au-dessus de la tête des décideurs politiques indiens, car ils comprennent qu’elle peut être utilisée contre eux au cas où ils résistaient à la pression de Washington de se soumettre davantage à la Coalition d’Endiguement Chinois (CEC).

Myanmar : la plus grande menace conventionnelle envers la Chine le long de sa bordure méridionale (hors une Inde hostile) repose dans le débordement des guerres ethniques depuis le Myanmar vers l’intérieur du Yunnan. Actuellement, ceci se produit déjà puisque les récentes violences à Kokang (État de Shan) ont forcé des milliers de personnes hors de leurs foyers vers la Chine en tant que réfugiés, où il est rapporté qu’ils sont vus comme étant un ‘poids’ pour les autorités. Assez clairement, la Chine comprend les vulnérabilités du Yunnan face à une déstabilisation externe du même type qu’au Xinjiang, quoique manifestée autrement, d’où sa sensibilité à ce qui pourrait être un nouvel embrasement de la guerre civile au Myanmar. Après tout, l’explosion de violence inattendue a une fois de plus retardé la conclusion des pourparlers de paix longtemps attendus du pays, dont la finalisation avait été antérieurement prévue.

thediplomat_2014-04-30_14-13-00-386x288.jpgCependant, désormais d’autres groupes ethniques ont été encouragés par les affrontements, ils envoient leurs propres combattants et mercenaires à Kokang, qui est en outre d’ores et déjà sous régime de loi martiale. Il semble dorénavant que le fragile processus de paix national soit au bord de l’effondrement total, et que les combats puissent se répandre à d’autres régions si leurs milices respectives choisissent de profiter de toute déconvenue perçue du gouvernement à Kokang pour lancer leurs propres offensives. Tout ceci mènerait à la détérioration de la sécurité du Yunnan et à l’influx de milliers de réfugiés supplémentaires, certains pouvant même être affiliés à des militants voulant provoquer leurs propres soulèvements à l’intérieur de la Chine. C’est ce facteur qui effraie le plus Beijing, nommément, que les jungles du Yunnan puissent un jour devenir le foyer de combattants similaires à ceux du Xinjiang, désireux de livrer une autre portion du pays au chaos.

Schémas chaotiques: ce qui est cohérent dans tout ce chaos, c’est qu’il suit une espèce d’ordre en termes de stratégie US. Les pays étudiés longent les franges de l’ouest et du sud-ouest de la Chine, qui sont déjà mûres pour des provocations ethniques. De plus, deux des états bordant les provinces ciblées, le Kirghizistan pour le Xinjiang et le Myanmar pour le Yunnan, sont intrinsèquement instables pour des raisons qui leur sont propres, faisant d’eux des ‘bombes à retardement actives’ pouvant être incitées à exploser sur le seuil de la Chine par les USA. En ce qui concerne le Turkménistan, l’Ouzbékistan et le nord-est de l’Inde, leurs déstabilisations sont des détonateurs pour les deux ‘bombes’ principales, le Kirghizistan et le Myanmar, bien que le dysfonctionnement de n’importe laquelle des régions susmentionnées affaiblisse la Chine en lui-même. En bref, ce vecteur de la grande stratégie US est orienté vers la destruction d’états-clés de la périphérie de la Chine afin d’éroder la force du gouvernement central le long de ses propres régions périphériques, dont deux (le Xinjiang et le Yunnan) sont vulnérables face à une déstabilisation dirigée de l’extérieur et visant l’agitation ethnique.

Coordonner l’endiguement

De l’autre côté de la Chine, les USA façonnent une Coalition d’Endiguement Chinois (CEC) pour confronter Beijing et la provoquer à une intervention de type ‘Brzezinski à l’envers‘ dans la Mer de Chine du Sud (si elle n’est pas déjà entraînée au Myanmar). Le Japon et les Philippines sont les pièces centrales de cette stratégie, et il est envisagé que la Corée du Sud et le Vietnam y jouent également des rôles essentiels. Examinons les plans de Washington pour chaque pays présenté, tout en étudiant comment ils s’imbriquent tous ensemble dans le schéma plus vaste :

Les ‘porte-avions insubmersibles’

Japon : la remilitarisation du Japon sous le Premier Ministre Shinzo Abe a irrité à la fois la Chine et la Corée du Sud, qui se souviennent encore vivement des cicatrices de la Seconde Guerre Mondiale. Beijing est particulièrement troublée par la ‘réinterprétation‘ de la constitution pacifiste du Japon, où il a été décidé que ses ‘forces d’auto-défense’ pouvaient assister des alliés en guerre à l’étranger, des analystes ayant notoirement souligné que cela faisait certainement allusion à son allié de défense mutuelle, les USA. Quoiqu’il en soit, cela ne se limite pas qu’à une simple coopération avec les USA et peut également venir en appui à des armées régionales; c’est ici que les Philippines entrent en scène.

Les Philippines : comme avec le Japon, les USA conservent un engagement de défense mutuelle avec les Philippines qui a encore été renforcé par la signature d’un accord supplémentaire de 10 ans l’été dernier. Les Philippines ont élevé leurs relations avec le Japon en partenariat stratégique en 2011, ce qui fait de Tokyo le seul hormis Washington à bénéficier de ce privilège auprès de Manille, qui vient aussi d’en conclure un avec le Vietnam. Ceci est extrêmement important car il en découle que les Philippines se transforment en nœud central reliant les trois principaux partenaires de la CEC, et que tout déclenchement d’hostilités entre elles et la Chine y attirerait probablement ses trois autres partenaires, jusqu’à un certain point (ce qui est étudié plus loin).

Soutien secondaire

Vietnam : cet état d’Asie du Sud-Est est historiquement engagé dans une rivalité avec la Chine, rivalité la plus récemment exprimée au travers des émeutes anti-chinoises de 2014 et de l’antérieure Guerre Sino-Vietnamienne de 1979. Bien qu’il ne soit pas annoncé que Hanoï entre dans une relation formelle de défense avec Washington semblable à celles de Tokyo et de Manille, les liens entre les deux se sont progressivement réchauffés au fil des années, les USA allégeant un embargo de ventes d’armes au Vietnam en fin d’année dernière pour annoncer il y a une semaine qu’ils allaient leur fournir 6 patrouilleurs. La coopération militaire et la coordination stratégique sont appelées à s’intensifier dans les années à venir, tandis que les USA embarquent le Vietnam à bord de la CEC comme membre de soutien, bien qu’il ne soit pas clair si cela s’amplifie davantage en plein jour ou s’active plutôt dans l’ombre, ou encore en reste à son niveau actuel.

Considérant que le pays partage une réelle frontière terrestre avec la Chine et que la puissance militaire chinoise est plus forte sur terre que sur mer, il est présentement improbable qu’Hanoï entre en confrontation directe avec elle (à moins qu’elle ne soit garantie de réitérer ses fortunes de la guerre de 1979). Ce qui est cependant plus probable est qu’elle assume le rôle d’un double ‘meneur depuis l’arrière‘, partenaire avec les Philippines dans l’endiguement de l’activité navale de la Chine dans la Mer de Chine du Sud, pouvant éventuellement venir à leur secours dans l’éventualité d’un conflit formel. Travaillant indirectement à travers les Philippines via son nouveau partenariat stratégique avec le Vietnam, Washington et Hanoï pourraient occulter leurs liens militaires de plus en plus importants et ainsi éviter une indignation domestique concernant leur alliance militaire de facto. Non seulement cela, mais le Vietnam peut également conserver une mesure de possibilité de dénégation dans sa relation avec la CEC, bien que cela ne puisse peut-être pas rester crédible longtemps s’il va plus avant dans une coopération plus profonde avec l’US Navy, principalement en autorisant davantage d’escales portuaires à ses navires et de possibles manœuvres navales conjointes.

dc75b27a-e8d0-4ff3-9ac0-711c7cf5b2e1.jpg

 

Corée du Sud : Séoul est le maillon faible de la CEC, mais il est malgré tout nécessaire d’examiner le rôle prévu par les USA pour elle, quelle que soit leur réussite dans sa mise en œuvre. L’idée est que la Corée du Sud et le Japon forment la base de la section du Nord-Est de la CEC, mais étant donné les importants problèmes existant entre eux (prioritairement leur opinion de la Seconde Guerre Mondiale et la dispute territoriale des Rochers Liancourt), il sera difficile pour leurs gouvernements de s’accorder avec leurs citoyens sur une telle éventualité. Portant l’affaire encore plus loin, la Corée du Sud est délibérément ambigüe sur sa volonté d’héberger une infrastructure de défense anti-missiles sur son territoire, démontrant qu’elle est suffisamment pragmatique dans sa politique pour prendre en considération les intérêts de la Chine. Ceci peut être influencé par le fait que les deux ont d’ores et déjà signé un Accord de Libre Échange qui représente l’un des hauts points de la diplomatie régionale chinoise de ces dernières années.

En dépit de cela, Séoul, Tokyo et Washington se sont reliés pour partager des renseignements sur la Corée du Nord, créant un réseau pouvant facilement être dirigé contre la Chine dans un avenir défini par le ‘besoin’ s’en faisant sentir. Ceci signifie que Séoul n’est pas prêt à abandonner complètement Washington pendant encore longtemps, ayant récemment prolongé le contrôle US sur ses forces armées en temps de guerre jusqu’au milieu des années 2020. Quand le renforcement de la puissance des USA et les avancées de l’influence chinoise sont mises dos-à-dos, la Corée du Sud peut le plus clairement être vue comme un objet de compétition stratégique pour les deux grandes puissances, bien que plus de 28.000 troupes US soient actuellement stationnées dans le pays. Par conséquent, que le pays puisse s’engager entièrement en faveur de l’un ou de l’autre n’est pas certain, impliquant que les perspectives de son intégration entière dans la CEC sont sévèrement limitées bien qu’elles soient en mesure d’avoir un impact extrêmement important, dussent-elles aboutir.

Rassembler les morceaux

Chaque pièce de la CEC fait partie d’un schéma plus vaste, et certaines lignes de pensée stratégiques relient tout ensemble dans une entité semi-intégrée. Un conflit déclaré entre la Chine d’une part et le Japon ou le Vietnam d’autre part engendrerait des coûts énormes pour chaque belligérant, dont des coûts économiques (qui peuvent être considérés comme les plus importants par le Japon/Vietnam), servant ainsi de contrepoids au bellicisme et aux provocations militaires irrésistibles. Les mêmes ‘ralentisseurs’ ne sont pas aussi visibles quand il s’agit des Philippines, cependant, impliquant que le deuxième ‘porte-avions insubmersible’ des USA puisse servir ‘d’appât’ pour leurrer la Chine dans une ‘Brzezinski à l’envers’ en Mer de Chine du Sud. Alors qu’une analyse sommaire peut amener à disqualifier les Philippines de la moindre chance de succès militaire face à la Chine, un examen plus minutieux (via les détails mentionnés plus haut) indique que l’archipel peut être un énorme piège au regard des relations stratégiques et militaires qu’il entretient avec des tierces parties.

Dans l’éventualité d’hostilités entre Beijing et Manille, Washington offrirait sûrement une quelconque forme d’aide et de soutien à son allié. Ses actions en Ukraine peuvent être vues comme un coup d’essai de ce dont elle parvient à se dédouaner (et dans quels cadres de temps) dans l’assistance à un intermédiaire faible face à une grande puissance, et il est anticipé que de telles leçons stratégiques et logistiques seront certainement appliquées aux Philippines lors de tout conflit qu’elles puissent avoir avec la Chine. Tout comme l’Ukraine a servi de cri de ralliement pour réinventer l’OTAN comme alliance contre la Russie, les Philippines peuvent probablement servir de cri de ralliement pour formaliser la CEC en une organisation analogue orientée contre la Chine. Les autres partenaires stratégiques des Philippines, le Japon et le Vietnam, se rallieraient sans doute à la défense de Manille de la même façon que le font la Pologne et la Lituanie pour l’Ukraine (quoiqu’à une échelle beaucoup plus large et significative). Pour Tokyo et Hanoï, ils peuvent voir l’opportunité de projeter davantage de forces en Mer de Chine du Sud et de tester divers équipements militaires qu’ils peuvent diriger en hâte vers les Philippines (des navires dans le cas du Vietnam et des drones dans celui du Japon). Compliquant encore plus les choses seraient l’Inde et l’Australie, deux états en dehors de la région comme les USA, jetant aussi leur dévolu du côté de Manille de la même façon que le Japon et le Vietnam, utilisant le conflit fabriqué comme excuse pour renforcer leur influence dans la région.

mer_chine_du_sud.jpgCe qui compte le plus ici n’est pas de savoir si les Philippines peuvent gagner (ce qui est hautement improbable), mais le fait qu’elles puissent devenir une ‘Ukraine d’Asie du Sud-Est’, faussement dépeintes par les médias mainstream comme victimes d’une grande puissance non-occidentale (alors qu’en réalité les rôles ont été inversés) et partiellement sacrifiées afin de servir de cri de ralliement pour la concrétisation de la CEC. Non seulement la CEC serait-elle formalisée par un tel scénario, mais tous les partenaires officiels et non-officiels des Philippines pourraient également inonder la Mer de Chine du Sud de leur soutien, y établissant peut-être même une présence permanente de facto (même si il y est plutôt fait référence comme étant une présence ‘tournante‘). De plus, en leurrant la Chine vers un conflit avec les Philippines (à travers des provocations inacceptables), la CEC peut également surveiller la manière dont opèrent l’Armée et la Marine de Libération du Peuple en temps de guerre, fournissant des méthodes et des tactiques observables pouvant être analysées dans le façonnage de contre-mesures appropriées pour le ‘vrai combat’ dans un avenir indéfini.

Briser le Mur de la CEC

Tout est loin d’être perdu, toutefois, puisque la Chine a trois options qu’elle peut employer simultanément pour briser le mur d’endiguement et s’extirper de l’asphyxie stratégique projetée par les USA. Voici ce que prévoit Beijing :

L’Échange Sud-Coréen

Ainsi que décrit précédemment, la Corée du Sud est loin d’être une ardente alliée des USA, au vu des énormes avancées que la Chine y a fait au cours de la dernière décennie au point que Séoul n’a le choix que de se comporter de manière pragmatique avec elle. Ceci entend qu’il devient de plus en plus improbable qu’elle se soumette totalement à la CEC, l’enlevant de la chaîne d’endiguement en construction autour de la Chine. L’objectif de la Chine, donc, est de maintenir la ‘neutralité’ sud-coréenne dans la ‘guerre froide’ que mijotent les USA contre la Chine, avec comme scénario idéal que Séoul expédie le dossier du retour du contrôle sur ses forces armées en temps de guerre et, peut-être, impose des limites (ou des retraits échelonnés) à la présence militaire US sur place. Bien qu’un tel développement puisse sembler être un fantasme politique à l’heure actuelle, cela n’entend pas qu’il ne s’agisse pas de l’objectif final que projette la Chine. En définitive, si la Corée du Sud échange les USA pour la Chine comme partenaire favorisé (ce qui peut progressivement se produire à travers la combinaison d’un sentiment anti-US croissant, la rancune anti-japonaise et des attitudes pro-nord-coréennes), il va sans dire qu’un monumental séisme géopolitique de cet acabit engendrerait des répliques de grande portée, ressenties le plus immédiatement dans les pourparlers entre les Corées du Nord et du Sud mais s’étendant possiblement à travers le reste de la zone Asie-Pacifique.

Naviguer sur la Route de la Soie Maritime

Le plus grand acte de la Chine, à travers peut-être toute son histoire est la connexion de l’Afrique et de l’Eurasie par des routes commerciales terrestres et maritimes à son initiative. Considérant celle-ci dans le contexte de ce document, elle détient la possibilité de transformer des états géopolitiquement malavisés et potentiellement hostiles d’Asie du Sud-Est en partenaires pragmatiques sur les mêmes lignes que le modèle sud-coréen. Outre ce bénéfice stratégique majeur, la Route de la Soie Maritime obstruerait aussi le groupement commercial du Partenariat Trans-Pacifique (TPP) qui est conçu comme un bloc économique anti-chinois. Cette entité contrôlée par Washington pourrait potentiellement relier encore plus ensemble les économies associées  pour créer la ‘fondation économique’ d’un ‘OTAN d’Asie de l’Est et du Sud-Est’, la CEC, et c’est pourquoi il est si important pour la Chine de préempter ces mesures par l’entremise de la Route de la Soie Maritime.

À une échelle plus vaste, les actes de la Chine pourraient représenter un pas de plus dans l’accomplissement de son projet de Zone de Libre Échange de l’Asie-Pacifique, qui est la réponse de Beijing au TPP. Elle en a déjà posé les fondations à travers ses Accords de Libre Échange avec la Corée du Sud et l’Australie, deux alliés archétypiques des USA, démontrant qu’avec le ‘dur labeur’ déjà accompli, il sera peut-être plus facile de rassembler davantage d’entités plus politiquement pragmatiques et moins influencées par les USA dans ce réseau et dans un avenir proche. En allant plus loin, bien que la Route de la Soie Maritime ne soit pas uniquement restreinte à l’Asie-Pacifique, elle peut utiliser la région pour expérimenter diverses approches diplomatiques et économiques qui peuvent être affinées et appliquées plus loin ‘en aval’ (peut-être entre la Chine et l’Afrique de l’Est) en transformant le projet en véritable entreprise transcontinentale, pouvant un jour relier toutes les régions de libre échange de la Chine entre elles en une macro-zone de libre échange.

Renforcer l’OCS

La troisième méthode que peut employer la Chine pour rompre l’encerclement de la CEC est de renforcer l’OCS (Organisation de Coopération de Shanghaï) afin de stabiliser l’Asie Centrale. Non seulement ceci peut prévenir ou rapidement éteindre les menaces chaotiques décrites dans la première section, mais si c’est une réussite, cela peut fournir un contournement terrestre commode de la CEC (si elle n’est pas neutralisée ou empêchée de naître d’ici là) qui pourrait renforcer le vecteur continental du projet de la Route de la Soie et relativement préserver la Chine du chantage maritime des USA et de leurs alliés. Bien que cela n’efface pas complètement de telles menaces (qui doivent toujours être prises en compte dans les calculs stratégiques de la Chine), cela pourrait fournir un débouché utile et approprié pour l’engagement avec le reste de l’Eurasie et la sécurisation de précieuses importations énergétiques du bassin de la Mer Caspienne. Agrandir l’OCS serait également une manière de la renforcer, puisque cela étendrait ses responsabilités à d’autres pays avec lesquels la Chine s’engage, tout en fournissant un forum non-occidental pour la résolution des disputes entre ses membres (par exemple entre la Chine et l’Inde, ou encore entre ces deux mêmes au sujet du Népal ou du Bhoutan).

Pensées de conclusion

Les USA sont engagés dans deux guerres froides au jour d’aujourd’hui, l’une contre la Russie s’attirant presque toute l’attention, tandis que l’autre contre la Chine couve encore. Tout comme ils le font contre Moscou, les USA engendrent un voisinage d’hostilité artificielle contre Beijing et reliant par la suite les états irrités et manipulés ensemble en une espèce de coalition d’endiguement. Alors que la politique des USA se dévoile encore contre la Chine, ils apprennent à coup sûr une chose ou deux de leur campagne contre la Russie, c’est-à-dire qu’une crise a besoin d’être concoctée afin que se déroule le vecteur asiatique de la Nouvelle Guerre Froide. Le chaos qu’engendre Washington en Asie Centrale et en Asie du Sud-Est continentale convient davantage à la militarisation plutôt qu’à la politisation, ce qui explique pourquoi les USA ont besoin de fabriquer une crise en Mer de Chine du Sud impliquant les membres projetés de la Coalition d’Endiguement Chinois. Beijing devra adroitement manœuvrer entre le chaos et la coordination afin de supporter la grande déstabilisation que complotent les USA tout autour de sa périphérie, mais si elle réussit dans ses contremesures stratégiques la multi-polarité fleurira dans toute la zone Asie-Pacifique et se fortifiera à travers l’Eurasie.

Andrew Korybko est un analyste politique et journaliste pour Sputnik qui vit et étudie actuellement à Moscou.

Source : http://orientalreview.org/2015/03/16/the-us-is-juggling-chaos-and-coordination-in-order-to-contain-china/

Traduction : Will Summer

samedi, 25 avril 2015

Eurasia XXXVII (1/2015)

L’EURASIA AGGREDITA SU PIÙ FRONTI

Eurasia XXXVII (1/2015)

Ex: http://www.eurasia-rivista.org

L’EURASIA AGGREDITA SU PIÙ FRONTI

L’EURASIA AGGREDITA SU PIÙ FRONTI
Ecco di seguito l’elenco degli articoli presenti in questo numero, con un breve riassunto di ciascuno di essi.

Editoriale
Claudio Mutti, L’Eurasia aggredita su più fronti

Dossario: L’Eurasia aggredita su più fronti

LA GUERRA SU PIÙ FRONTI CONTRO IL CUORE DELL’EURASIA
di Mahdi Darius Nazemroaya

Gli USA hanno scatenato in Eurasia e in Africa una Guerra su più fronti che si estende all’America Latina. Lo scopo di Washington e Wall Street è di impedire l’integrazione eurasiatica e la nascita di un blocco economico rivale. È in questo contesto che Washington sta destabilizzando la Siria, l’Iraq e l’Ucraina. L’obiettivo strategico consiste nell’impedire che attorno al centro del Continente eurasiatico si uniscano le periferie dell’Europa occidentale e dell’Estremo Oriente. Ecco perché Washington sta facendo il possibile contro la Federazione Russa e contro l’Unione Economica Eurasiatica.

O l’OCCIDENTE O L’EURASIA
di Spartaco Alfredo Puttini

Lo svolgersi degli eventi che si susseguono sulla scena internazionale palesano ogni giorno di più uno stato di crescente tensione. Non si allude qui ai vari focolai che tormentano diverse regioni del pianeta, magari da decenni, ma alla crescente rivalità che divide e contrappone le grandi potenze. Per tutti coloro che hanno guardato con occhi disincantati la realtà internazionale di questi ultimi decenni il manifestarsi delle divergenze tra l’Occidente guidato dagli Stati Uniti da un lato e la Russia ed altre forze dall’altro non rappresenta una novità, ma una conferma. La conferma della inevitabile alterità fra il tentativo di egemonia statunitense e la volontà di una serie di Stati e di popoli di difendersi e di ripristinare un equilibrio di potenza, favorendo la nascita di un mondo multipolare.

LA QUESTIONE UCRAINA IN PROSPETTIVA GEOPOLITICA
di Fabio Falchi
Riguardo alla “questione ucraina”, i media occidentali non si limitano alla consueta criminalizzazione del “nemico”, bensì “ignorano” quasi del tutto le vicende belliche del conflitto russo-tedesco nel 1941-45 e non esitano a presentare una visione palesemente “distorta” della stessa storia della Russia. Nondimeno, è palese che gli “strateghi occidentali” siano perfettamente consapevoli che quanto accade in Ucraina è una minaccia gravissima alla sicurezza nazionale della Russia. Posto allora che non è verosimile che gli Stati Uniti vogliano combattere una guerra termonucleare contro la Russia, è lecito ritenere che si sia in presenza di una vera e propria strategia della tensione, che ha come obiettivo la destabilizzazione non solo della Russia ma anche della stessa Europa.

LA SINDROME DI GORBACIOV
di Vincenzo Mungo
La politica di Gorbaciov fallì nel suo obiettivo anche a causa delle incertezze della classe dirigente sovietica di quel periodo. Oggi, sotto l’incalzare della pressione occidentale, la classe dirigente russa rischia di diventare preda di un analogo complesso di paure, di indecisioni e di eccessiva tolleranza verso gli avversari. Qualora essa si lasciasse contagiare di nuovo dalla “sindrome di Gorbaciov”, non farebbe altro che consegnare il Paese all’imperialismo americano.

LA BIELORUSSIA AL BIVIO
di Giuseppe Cappelluti
Tradizionalmente la Bielorussia è il più filorusso tra gli Stati postsovietici: la sua popolazione si percepisce tanto come bielorussa quanto come russa, e il suo governo è uno dei maggiori fautori dell’integrazione eurasiatica. Tuttavia, negli ultimi mesi, le tensioni in Ucraina e le pressioni incrociate di Russia e Occidente hanno spinto il Paese in una posizione non facile, da cui esso sta cercando di uscire riscoprendo il nazionalismo e adottando una posizione ambigua sulla crisi in corso nel Paese esteuropeo. Alcuni, specie in Occidente, sostengono – non senza una certa Schadenfreude – che Russia e Bielorussia stiano vivendo una sorta di crisi di coppia. Una rottura vera e propria, però, è tutt’altro che probabile.

LA REPUBBLICA OLTRE IL DNESTR
di Ivelina Dimitrova
La Repubblica moldava di Pridnestrov’e, la Transnistria, è uno Stato che, benché non sia riconosciuto da nessuno, tuttavia esiste dal 2 settembre 1990, quando, all’epoca della sua dichiarazione di indipendenza, molti degli attuali membri dell’UE non esistevano ancora come Stati. La Transnistria è un paese che ha il suo esercito, la sua frontiera, la sua moneta, la sua polizia ed una sua spiccata identità “nazionale”. Oggi, con il conflitto in Ucraina, questa piccola striscia di terra ha assunto un’importanza ancora più grande dal punto di vista geopolitico.

LA CORSA ALL’ARTICO
di Emiliano Vitaliano
Negli ultimi anni lo scioglimento progressivo dei ghiacciai ha spinto varie potenze mondiali a manifestare interesse per le ingentissime risorse naturali dell’Artico. La Russia intravede in questa zona una possibilità di rafforzare la propria economia e di giocare un ruolo da protagonista nella politica mondiale. La Cina è interessata, oltre che ai vari giacimenti, anche ai nuovi corridoi di navigazione, così come l’UE. Le risorse naturali dell’Artico fanno gola anche agli USA, i quali temono la vicinanza della Russia alle coste americane. Insomma, l’Artico è lo scenario in cui si stabiliranno i nuovi equilibri geopolitici del pianeta.

UNA “PIETRA NERA” A STELLE E STRISCE STA COMPRANDO L’ITALIA?
di Stefano Vernole
Il fondo d’investimento statunitense Blackstone e il suo ex gestore Blackrock stanno acquisendo sempre più potere in Italia, quasi a compensare il recente attivismo economico della Repubblica Popolare Cinese nel nostro paese. L’indebitamento statale, le misure finanziarie richieste per adeguarsi ai parametri europei, le nuove privatizzazioni hanno aperto diverse prospettive agli investitori ma soprattutto agli speculatori, mentre lo sguardo “interessato” dei servizi di sicurezza italiani sembra posarsi più sui primi che sui secondi. Dietro un’apparente concorrenza di carattere commerciale si nasconde uno scontro geopolitico determinante per le sorti dell’Eurasia.

EUROPA: TERRA DI CONQUISTA O CAMPO DI BATTAGLIA?
di Alessandra Colla
I fatti di Parigi sono stati magistralmente usati per rafforzare una concezione negativa dell’Islam e per rilanciare l’immagine dell’Occidente come portatore di libertà e tolleranza. Facendosi carico di un’offensiva contro l’Islam, l’Europa non fa altro che svolgere il “lavoro sporco” richiesto dal progetto della globalizzazione americana.

Osservatorio

L’EUROPA DIVISA: BUDAPEST E ATENE
di Ivelina Dimitrova

Mai come oggi i rapporti tra il Cremlino e l’Occidente sono stati così tesi. Tuttavia, nell’attuale situazione di stagnazione economica e di instabilità politica, una parte significativa dell’opinione pubblica europea si sta chiedendo il perché di tanto accanimento nei confronti della Russia e molti uomini politici ritengono vitale per l’Europa il miglioramento delle relazioni con il Cremlino. Grecia ed Ungheria, in particolare, stanno conducendo una politica pragmatica nei confronti della Federazione Russa, essendo più preoccupate di tutelare l’interesse nazionale che di adeguarsi totalmente alle imposizioni occidentali.

I RAPPORTI FRA GRECIA E TURCHIA E IL RUOLO DI MOSCA
di Aldo Braccio
Chi soffia sul fuoco dello scontro di civiltà addita non di rado come modello dell’opposizione fra “Europa cristiana” e “Asia islamica” proprio il contrapporsi di Grecia e Turchia. Prescindendo da queste enfatizzazioni interessate, è certo che non mancano motivi di contrasto fra i due Paesi: la questione cipriota – ampliata oggi dalla scoperta dell’importanza dell’isola nel reperimento di risorse energetiche – quella inerente la ripartizione degli spazi marittimi e il problema scottante del transito di immigrati clandestini ne sono gli elementi salienti. L’entrata in scena del nuovo governo greco – significativamente sostenuto dalla minoranza turca presente in territorio ellenico – può favorire un percorso di reciproca collaborazione soltanto faticosamente intrapreso negli anni scorsi con la costituzione di un Consiglio di alta cooperazione strategica. Fondamentale nella ricerca di nuovi e più stabili equilibri sarà il ruolo che svolgerà la Russia, potenza eurasiatica di riferimento e di richiamo per Atene (come gli esponenti di Syriza hanno decisamente ribadito) ma anche interlocutore assolutamente imprescindibile per Ankara; fra Grecia e Turchia potrà essere Mosca – anziché l’Unione Europea, che non ha fin qui voluto o saputo svolgere tale ruolo – a favorire un’intesa in questo importante quadrante del Mediterraneo.

PREMESSE E CONSEGUENZE DEL VOTO GRECO
di Andrea Turi
Il leader di Syriza, Alexis Tsipras, trionfa nelle elezioni politiche anticipate di fine gennaio. Un successo annunciato che impaurisce i creditori internazionali e la troika. Cosa comporta la vittoria del partito antiausterità? Chi sono i suoi alleati di governo? La Grecia è pronta a guardare verso altre direzioni e a muoversi oltre il mero atlantismo della sua politica estera? Cronistoria e analisi di un voto figlio della crisi ellenica.

FRONT NATIONAL… FRONT FAMILIAL
di Yannick Sauveur
La presentazione del Front National che viene fatta al grande pubblico è ampiamente viziata. Una comprensione più esatta di quello che è il FN, da quando Marine Le Pen ne ha assunto la presidenza (gennaio 2011), non può prescindere dalla storia del partito, a partire dalla sua fondazione nel 1972. Considerato in una prospettiva diacronica, il FN rivela continuità e momenti di rottura; questi ultimi, più formali che sostanziali.

L’INCERTO FEDERALISMO IRACHENO
di Ali Reza Jalali
Il sistema di governo dell’Iraq si caratterizza per una marcata autonomia delle regioni rispetto al governo centrale, muovendosi dunque, dopo gli anni del dominio nazionalista di Saddam, da un modello tendenzialmente accentratore a un modello di tipo vagamente federale, con i vantaggi e gli svantaggi che derivano da questa impostazione. I vantaggi derivano dalla scelta di instaurare un modello che, almeno in linea teorica, si addice a un paese non omogeneo come l’Iraq; gli svantaggi invece derivano dall’eccessiva frammentazione che il federalismo comporta in un paese con forti pulsioni alla secessione, al terrorismo settario e alle ingerenze straniere dei vari attori regionali, senza dimenticare il ruolo fortemente deleterio dell’intervento occidentale del 2003.

L’IDROPOLITICA DELLA TURCHIA
di Francesco Ventura
Il controllo delle acque dei fiumi Tigri ed Eufrate da parte della Turchia può conferire ad Ankara il ruolo di serbatoio idrico del Vicino Oriente, riequilibrando il potere derivante dal possesso degli idrocarburi degli Stati arabi. La nuova geopolitica turca, così come interpretata dall’attuale Primo Ministro turco Ahmet Davutoglu nella sua opera Profondità strategica. Il ruolo internazionale della Turchia, trova nello sviluppo del Progetto dell’Anatolia Sudorientale (GAP) uno strumento per aumentare il proprio peso specifico in tutta la regione. Uno strumento di medio-lungo periodo che, vista la crescente scarsità idrica, sarà sicuramente cruciale nel futuro prossimo.

NUOVE FORME DI POLITICA MIGRATORIA
di Gabriele Abbondanza
L’attuale scenario internazionale presenta una lunga lista di aree critiche, alla base di un rinnovato insieme di flussi migratori irregolari. Italia e Australia sono due paesi che, nonostante le evidenti differenze culturali e la distanza geografica, risentono in maniera simile di tali fenomeni, in particolare dell’immigrazione illegale via mare. Il presente saggio si propone di approfondire le politiche migratorie dei due paesi, radicalmente diverse per mezzi e scopi, per poi auspicare la combinazione delle pratiche migliori di entrambi i sistemi, proponendo l’idea di una “Soluzione Mediterranea”.

Interviste

INTERVISTA A TOUAMI GARNAOUI
a cura di Anna Maria Turi

jeudi, 23 avril 2015

Eurasia as We Knew it is Dead

Eurasia_and_eurasianism.png

The U.S. Knew it Too

Eurasia as We Knew it is Dead

by PEPE ESCOBAR
Ex: http://www.counterpunch.org

Move over, Cold War 2.0. The real story, now and for the foreseeable future, in its myriad declinations, and of course, ruling out too many bumps in the road, is a new, integrated Eurasia forging ahead.

China’s immensely ambitious New Silk Road project will keep intersecting with the Russia-led Eurasia Economic Union (EEC). And that will be the day when the EU wakes up and finds a booming trade/commerce axis stretching from St. Petersburg to Shanghai. It’s always pertinent to remember that Vladimir Putin sold a similar, and even more encompassing, vision in Germany a few years ago – stretching from Lisbon to Vladivostok.

It will take time – and troubled times. But Eurasia’s radical face lift is inexorable. This implies an exceptionalist dream – the U.S. as Eurasia hegemon, something that still looked feasible at the turn of the millennium – fast dissolving right before anyone’s eyes.

Russia Pivots East, China Pivots West

A few sound minds in the U.S. remain essential as they fully deconstruct the negatives, pointing to the dangers of Cold War 2.0. The Carnegie Moscow Center’s Dmitri Trenin, meanwhile, is more concerned with the positives, proposing a road map for Eurasian convergence.

The Russia-China strategic partnership – from energy trade to defense and infrastructure development – will only solidify, as Russia pivots East and China pivots West. Geopolitically, this does not mean a Moscow subordinated to Beijing, but a rising symbiotic relationship, painstakingly developed in multiple stages.

The BRICs – that dirty word in Washington – already have way more global appeal, and as much influence as the outdated G-7. The BRIC New Development Bank, ready to start before the end of 2015, is a key alternative to G7-controlled mechanisms and the IMF.

The Shanghai Cooperation Organization (SCO) is bound to include India and Pakistan at their upcoming summer summit in Russia, and Iran’s inclusion, post-sanctions as an official member, would be virtually a done deal by 2016. The SCO is finally blossoming as the key development, political/economic cooperation and security forum across Asia.

Putin’s “greater Europe” from Lisbon to Vladivostok – which would mean the EU + EEC – may be on hold while China turbo-charges the its New Silk Road in both its overland and maritime routes. Meanwhile, the Kremlin will concentrate on a parallel strategy – to use East Asian capital and technology to develop Siberia and the Russian Far East. The yuan is bound to become a reserve currency across Eurasia in the very near future, as the ruble and the yuan are about to rule for good in bilateral trade.

The German Factor

“Greater Europe” from Lisbon to Vladivostok inevitably depends on a solution to the German puzzle. German industrialists clearly see the marvels of Russia providing Germany – much more than the EU as a whole – with a privileged geopolitical and strategic channel to Asia-Pacific. However, the same does not apply as yet to German politicos. Chancellor Angela Merkel, whatever her rhetoric, keeps toeing the Washington line.

The Russian Pipelineistan strategy was already in place – via Nord Stream and South Stream – when interminable EU U-turns led Moscow to cancel South Stream and launch Turk Stream (which will, in the end, increase energy costs for the EU). The EU, in exchange, would have virtually free access to Russia’s wealth of resources, and internal market. The Ukraine disaster means the end of all these elaborate plans.

Germany is already the defacto EU conductor for this economic express train. As an export powerhouse, its only way to go is not West or South, but East. Thus, the portentous spectacle of an orchestra of salivating industrialists when Xi Jinping went to Germany in the spring of 2104. Xi proposed no less than a high-speed rail line linking the New Silk Road from Shanghai to Duisburg and Berlin.

A key point which shouldn’t be lost on Germans: a vital branch of the New Silk Road is the Trans-Siberian high-speed rail remix. So one of the yellow BRIC roads to Beijing and Shanghai boasts Moscow as a strategic pit stop.

That Empire of Chaos …

Beijing’s Go West strategy overland is blissfully free of hyperpower meddling – from the Trans-Siberian remix to the rail/road routes across the Central Asian “stans” all the way to Iran and Turkey. Moreover, Russia sees it as a symbiosis, considering a win-win as Central Asian stans jump simultaneously aboard the EEU and what Beijing dubs the Silk Road Economic Belt.

On other fronts, meanwhile, Beijing is very careful to not antagonize the U.S., the reigning hyperpower. See for instance this quite frank but also quite diplomatic interview to the Financial Times by Chinese Prime Minister Li Keqiang.

One key aspect of the Russia-China strategic partnership is that both identify Washington’s massively incoherent foreign policy as a prime breeder of chaos – exactly as I argue in my book Empire of Chaos.

In what applies specifically to China and Russia, it’s essentially chaos as in divide and rule. Beijing sees Washington trying to destabilize China’s periphery (Hong Kong, Tibet, Xinjiang), and actively interfering in the South China Sea disputes. Moscow sees Washington obsessed with the infinite expansion of NATO and taking no prisoners in preventing Russia’s efforts at Eurasian integration.

Thus, the certified death of Russia’s previous geopolitical strategy. No more trying to feel included in an elite Western club such as the G-8. No more strategic partnership with NATO.

Always expert at planning well in advance, Beijing also sees how Washington’s relentless demonization of not only Putin, but Russia as a whole (as in submit or else), constitute a trial run on what might be applied against China in the near future.

Meet the Imponderables

All bets are off on how the fateful U.S.-China-Russia triangle will evolve. Arguably, it may take the following pattern: The Americans talk loud and carry an array of sticks; the Russians are not shy to talk back while silently preparing strategically for a long, difficult haul; the Chinese follow a modified “Little Helmsman” Deng Xiaoping doctrine – talk very diplomatically while no longer keeping a low profile.

Beijing’s already savvy to what Moscow has been whispering: Exceptionalist Washington – in decline or not – will never treat Beijing as an equal or respect Chinese national interests.

In the great Imponderables chapter, bets are still accepted on whether Moscow will use this serious, triple threat crisis – sanctions, oil price war, ruble devaluation – to radically apply structural game changers and launch a new strategy of economic development. Putin’s recent Q&A, although crammed with intriguing answers, still isn’t clear on this.

Other great imponderable is whether Xi, armed with soft power, charisma and lots of cash, will be able to steer, simultaneously, the tweaking of the economic model and a Go West avalanche that does not end up alienating China’s multiple potential partners in building the New Silk roads.

A final, super-imponderable is whether (or when, if ever) Brussels will decide to undertake a mutually agreed symbiosis with Russia. This, vs. its current posture of total antagonism that extends beyond geopolitical issues. Germany, under Merkel, seems to have made the choice to remain submitted to NATO, and thus, a strategic midget.

So what we have here is the makings of a Greater Asia from Shanghai to St. Petersburg – including, crucially, Tehran – instead of a Total Eurasia that extends from Lisbon to Vladivostok. Total Eurasia may be broken, at least for now. But Greater Asia is a go. There will be a tsunami of efforts by the usual suspects, to also break it up.

All this will be fascinating to watch. How will Moscow and Beijing stare down the West – politically, commercially and ideologically – without risking a war? How will they cope with so much pressure? How will they sell their strategy to great swathes of the Global South, across multiple Asian latitudes?

One battle, though, is already won. Bye, bye Zbigniew Brzezinski. Your grand chessboard hegemonic dream is over.

Pepe Escobar is the author of Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge and Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009).  His latest book is Empire of ChaosHe may be reached at pepeasia@yahoo.com.

This piece first appeared at Asia Times.

dimanche, 19 avril 2015

Quand la Nouvelle Route de la Soie rencontre l'Union eurasienne

Quand la Nouvelle Route de la Soie rencontre l'Union eurasienne

Auteur : Pepe Escobar
Ex: http://zejournal.mobi

Tous les rêves des exceptionnalistes qui prient pour que la Russie et la Chine abandonnent leur solide partenariat stratégique gagnant-gagnant, entièrement conçu pour leurs intérêts nationaux communs, ont été dissipés par la visite cruciale à Moscou du ministre chinois des Affaires étrangères Wang Yi.

poutine_Wang_Yi_moscou.jpgA Moscou, Wang a souligné à la fois la politique Look East de la Russie et celle de la Chine Go West – qui englobent essentiellement l'immense projet de Nouvelles Routes de la Soie – disant que ce projet « a créé des opportunités historiques pour l'amarrage des stratégies de développement des deux pays. »

Ils sont entièrement en phase. Look East, la stratégie de la Russie, ne concerne pas seulement la Chine, mais au moins autant l'intégration eurasienne que les routes de la soie de la Chine Nouvelle, car Moscou en a besoin pour développer la Sibérie orientale et l'Extrême-Orient russe.

Le partenariat stratégique, en perpétuelle évolution n'englobe pas seulement l'énergie, y compris la possibilité d'investissements chinois dans des projets cruciaux de pétrole et de gaz russes, mais aussi l'industrie de la défense ; il est de plus en plus question d'investissement, de banque, de finance et de haute technologie.

La portée du partenariat est extrêmement large, de la coopération Russie-Chine au sein de l'Organisation de coopération de Shanghai (OCS) au rôle de la Russie et de la Chine dans la nouvelle banque de développement BRICS, et du soutien de la Russie à l'infrastructure chinoise dirigée par la Banque asiatique d'investissement (AIIB) et la Fondation de la Route de la Soie.

Pékin et Moscou, avec les autres nations du BRICS, se dirigent rapidement vers un commerce débarrassé du rôle du dollar US, en utilisant leurs propres monnaies. En parallèle, ils étudient la création d'un système SWIFT de remplacement – qui sera nécessairement rejoint par les pays de l'UE, comme ils se joignent à l'AIIB ; car si en théorie l'Allemagne pourrait se permettre de perdre son commerce avec la Russie en raison de la politique de sanctions de Berlin – au grand mécontentement des industriels allemands –, elle ne peut tout simplement pas se passer de l'énergie russe. Et pour l'Allemagne, perdre le commerce avec la Chine est totalement impensable.

Le Trans-Siberian boosté aux stéroïdes

Deux jours après sa visite à Moscou, Wang est allé jusqu'à rencontrer le ministre des Affaires étrangères de Mongolie Lundeg Purevsuren, soulignant que la Nouvelle Route de la Soie développera une nouvelle plate-forme, un corridor économique trilatéral reliant la Russie, la Chine et la Mongolie.

Ce à quoi Wang faisait allusion est le corridor de transport eurasien prévu – qui mettra en vedette, un chemin de fer flambant neuf haute vitesse Trans-Siberian de $278 milliards reliant Moscou à Pékin, en seulement 48 heures, avec toutes les escales intermédiaires.

Il était donc inexorable que Wang lui-même assemble les pièces du puzzle que Washington refuse de voir : « La construction du corridor économique Chine-Russie-Mongolie relierait la Ceinture économique de la Route de la Soie en Chine au plan ferroviaire transcontinental de la Russie et au programme de la Route de la Prairie en Mongolie. »

Ce que nous avons ici avant tout, c'est la Nouvelle Route de la Soie, qui établit une connexion directe entre la Chine et l'Union économique Russie-Eurasie-(EEU). La Chine et l'EEU sont tenues de mettre en place une zone de libre-échange. Rien de plus naturel en pratique, car il s'agit du sujet de l'intégration eurasienne. Les détails seront entièrement discutés lorsque le président chinois Xi Jinping ira en visite à Moscou le mois prochain, et au Forum économique de Saint-Pétersbourg en juin.

La connexion IP chinoise

La politique chinoise à couper le souffle du Go West débloque enfin aussi un défi clé du Pipelineistan dans la Nouvelle Route de la Soie ; le gazoduc Iran-Pakistan (IP), qui à l'origine incluait l'Inde, était sans relâche harcelé par les deux administrations Bush et Obama et bloqué par les sanctions américaines.

Le tronçon iranien de 900 km, jusqu'à la frontière pakistanaise, est déjà terminé. Ce qui reste – 780 km, coût $2 milliards – sera essentiellement financé par Pékin, le travail technique étant effectué par une filiale de la CNPC. Le Président Xi va annoncer l'accord à Islamabad ce mois-ci.

Donc, ce que nous avons ici, c'est une Chine qui intervient activement, dans le style gagnant-gagnant, afin de mettre en place un cordon ombilical d'acier entre l'Iran et le Pakistan, pour le transport de gaz, avant même que les sanctions sur l'Iran soient levées, progressivement ou non. Appelez cela l'esprit d'entreprise des Nouvelles Routes de la soie en action – chapitre Asie du Sud.

Bien sûr, il y a aussi des avantages innombrables pour Pékin. L'Iran est déjà une question de sécurité nationale pour la Chine – en tant que premier fournisseur de pétrole et de gaz. Le pipeline passera par Gwadar, le port stratégique de l'océan Indien, déjà sous gestion chinoise. Le gaz pourra alors être expédié en Chine par la mer ou – mieux encore – un nouveau pipeline de Gwadar au Xinjiang, parallèle à l'autoroute du Karakoram, pourrait être construit au cours des prochaines années, contournant ainsi le détroit de Malacca, qui est un objectif crucial de la stratégie de diversification énergétique complexe de la Chine.

Et puis il y a l'Afghanistan – qui, du point de vue de Pékin s'inscrit dans le projet de la Nouvelle Route de la Soie en tant que corridor de ressources entre le Sud et l'Asie centrale.

Pékin veut idéalement investir dans le développement des infrastructures de l'Afghanistan pour accéder à ses ressources et consolider encore une autre tête de pont du Xinjiang à l'Asie centrale et plus loin vers le Moyen-Orient. Les produits fabriqués en Chine doivent actuellement passer par le Pakistan pour être exportés vers l'Afghanistan .

CNPC et la China Metallurgical Group Corp. sont déjà en Afghanistan, par le biais d'investissements dans le bassin pétrolifère de l'Amou-Daria et dans l »énorme mine de cuivre d'Anyak. C'est pas simple, mais c'est un début. La Russie et la Chine membres de la SCO ont grand besoin d'un Afghanistan stable, mûr pour le business à la fois dans la Nouvelle Route de la Soie et dans l'EEU. La question clé est de savoir comment satisfaire les talibans. Certes, en n'appliquant pas les méthodes de Washington.

Pendant ce temps, la proposition du Pentagone, pour ce que son nouveau chef Ash Carter décrit dédaigneusement comme cette partie du monde, est de déployer – devinez quoi – de nouvelles armes qui vont du système de défense antimissile THAAD encore en production, jusqu'aux derniers bombardiers furtifs en passant par les les unités spécialisée dans la cyber-guerre. La coopération économique eurasienne ? On oublie. Pour le Pentagone et l'Otan – qui, soit dit en passant, ont récemment perdu une guerre de treize ans contre les talibans – la coopération économique est pour les poules mouillées.


- Source : Pepe Escobar

lundi, 06 avril 2015

Le Déclin de Bretton Woods

a41f72773d1b167c5ae849.JPG

LA CHINE A PROPOSÉ LA CRÉATION D'UNE BANQUE
 
Le Déclin de Bretton Woods

Chems Eddine Chitour*
Ex: http://metamag.fr
 
« L'Angleterre n'a pas d'amis ou d'ennemis, elle n'a que des intérêts permanents ».
Winston Churchill

Une information passée inaperçue. La Chine a proposé la création d'une Banque (l'AIIB), l'Asian Infrastructure Investment Bank, Banque asiatique d'investissement pour les infrastructures dotée d'un capital initial de 100 milliards de dollars. Elle a pour objectif de répondre aux besoins croissants d'infrastructures ( transports, barrages, ports, etc.. ) de la région asiatique. Créée en 2014 sur l'initiative de la Chine, elle est destinée à financer les projets d'infrastructures dans la région Asie-Pacifique.

La Russie participera à la fondation de la Banque asiatique, a annoncé samedi 29 mars à Bo'ao, en Chine, le premier vice-Premier ministre russe Igor Chouvalov. L'AIIB vient surtout concurrencer la Banque mondiale et la Banque asiatique de développement (BAD), deux organisations contrôlées par les Occidentaux, qui en détiennent les principales parts de vote et les postes clés. Traditionnellement, la Banque mondiale est dirigée par un Américain, le FMI par un Européen, la BAD par un Japonais.

Le système bancaire en bref 

Pour avoir une idée du fonctionnement du système actuel qui génère une financiarisation, lisons cette contribution qui en explique le mécanisme et ses perversions : « Le système bancaire actuel fonctionne selon un principe très simple. Celui qui veut emprunter de l'argent promet au banquier qu'il remboursera et sur cette promesse le banquier lui crée un avoir. Sur cela l'emprunteur doit des intérêts. La Banque centrale européenne (BCE) oblige les banques d'avoir 2 centimes en réserve pour chaque euro qu'elles doivent à leurs clients. Nos avoirs bancaires sont maintenant couverts pour quelques pourcentages d'argent réel, le reste de l'argent n'existe pas. Nous n'avons donc pas d'argent à la banque, mais un avoir de la banque, une promesse du banquier, qu'il nous donnera du vrai argent en échange si nous lui demandons. Les banques empruntent le vrai argent de la BCE. C'est l'argent dans notre porte-monnaie. Le vrai argent est également utilisé sous forme électronique dans les paiements entre banques. Dans le trafic de paiements interbancaires quotidien, les banques annulent les montants qu'elles se doivent mutuellement et le soir elles ne se paient que les différences. Ainsi, avec un tout petit peu d'argent les banques, entre elles, peuvent payer des millions.» 
 

a41f72773d1b1671b4c60b.JPG


«Dans l'argent'' en circulation, les prêts s'entassent toujours plus... Les intérêts pour les épargnants sont payés par les emprunteurs. Ces intérêts aussi portent des intérêts. A 3% d'intérêts l'épargne double en 24 ans, à 4% en 18 ans. Donc les riches deviennent de plus en plus rapidement plus riches. Aujourd'hui 10% des Européens les plus riches détiennent 90% des richesses. La masse de pseudo-argent ne cesse de croître. Aux alentours de 1970 elle avait atteint le stade où les avoirs dépassent le Produit intérieur brut. Cela menait au développement d'un secteur financier, où l'on gagne l'argent avec l'argent, c'est-à-dire avec des intérêts et en soufflant des bulles à la Bourse. (...) Les banquiers ont réussi à convaincre les gouvernements, que ce serait mieux s'ils n'empruntaient plus à leur banque centrale (ce qui dans la pratique revenait à emprunter sans intérêts) et, à la place, d'emprunter à des banques commerciales, donc à intérêts». 

«Dans tous les pays qui l'ont accepté la dette publique croissait exponentiellement. (...) Les gouvernements devaient réduire leurs dépenses pour faire face à la charge croissante des intérêts. Mais contre l'effet de la croissance exponentielle des intérêts on ne pourra pas gagner avec des réductions de dépenses. Les gouvernements devaient vendre des services publics pour rembourser les dettes..(...) Les pays faibles se retrouvent endettés, sans possibilité de s'en sortir. Les banques profitent de ces montagnes de dettes croissantes et font porter les risques par les payeurs d'impôts.

Quelle serait la solution? 

La solution de tous ces problèmes est aussi simple que sa cause. Nous devons ériger une banque d'Etat qui a le droit exclusif de créer de l'argent. Il faut interdire les prêts d'argent inexistant. Une banque d'Etat n'a pas besoin de capital, ni de bénéfices. Aussi, les intérêts peuvent rester très bas ou être compensés fiscalement. Le gouvernement ne sera plus dépendant des banques.

Il est tragique de voir comment des pays sont ruinés. Ils laminent les dépenses sociales au profit des remboursements d'intérêts et ceci ad vitam æternam puisque le principal est encore hors de portée du remboursement. Par contre, et sans faire dans un prosélytisme déplacé, dans le mécanisme de la finance islamique, l'usure (intérêt n'existe pas) et les risques sont partagés entre l'emprunteur et sa banque.

La naissance d'une banque en dehors de l'hégémonie américaine 

Les Chinois sont devenus les plus grands créanciers de la Terre: une réserve de plus de 3000 milliards de dollars en devises. Elle achète des obligations d'État mais aussi des entreprises privées, des hôtels, des cliniques, des monuments historiques, des tableaux, des châteaux, des infrastructures ( aéroports, ports ) etc. La Chine représente maintenant 15% de l'économie mondiale et a conquis la deuxième place devant le Japon. 

La Chine a annoncé, être désormais la première puissance commerciale mondiale. Elle n'a jamais vraiment considéré l'Union Européenne comme un partenaire politique de premier plan. Et malgré sa rivalité avec les Etats-Unis, elle estime que Washington est le seul véritable interlocuteur sur la scène internationale. Pour rappel, les pays du Brics dont fait partie la Chine forment un bloc important à l'échelle mondiale. Leur poids démographique atteint 3 milliards de personnes, soit 42% de la population mondiale et leur PIB représentait en 2010, quelque 14.000 milliards d'USD, ou 18,5% du PIB mondial. Leur réserve de devises est estimée à 5000 milliards d'USD, dont 3200 milliards pour la seule Chine. 

La Chine a décidé de sortir en douceur, de l'orbite du dollar et du système de Bretton Woods, On sait que les Etats-Unis s'opposent, en vain, à la nouvelle puissance montante du monde, la Chine. Par les investissements qu'elle opère dans le monde, la Chine devient presque un pays prédateur, à l'affût des bonnes affaires dans le monde. Et surtout avec sa politique «gagnant-gagnant» et grâce à sa main-d'oeuvre très peu coûteuse, elle opère dans tous les continents y compris en Europe et aux États-Unis. Deuxième puissance du monde depuis 2010, détentrice de plus de 4000 milliards de réserves de change, la Chine, qui a commencé à internationaliser sa monnaie, le yuan, sait que « le temps travaille pour elle ». Et les États-Unis en sont conscients. Partant d'une « vérité » que le dollar américain ne peut rester indéfiniment la monnaie-centre du monde, la Chine vise à surpasser l'Amérique et devenir la première puissance économique, financière et monétaire du monde. 

aiib.jpegLe 17 mars, à Pékin. Martin Schulz, le président du Parlement européen a qualifié de « bonne chose » les adhésions européennes à la banque d'infrastructure asiatique. A ce jour, une trentaine de pays figurent dans cette liste, parmi lesquels l'Inde, Singapour, l'Indonésie et l'Arabie saoudite. Lorsqu'il a été lancé par la Chine en octobre 2013, le projet de Banque asiatique d'investissement dans les infrastructures avait fait des vagues dans le monde des organisations multilatérales. Il était difficile de ne pas voir dans ce projet « anti-Bretton Woods » la volonté du président XI Jinping d'affirmer et de voir reconnue la puissance chinoise dans le monde des institutions multilatérales, aujourd'hui encore largement dominé par les Américains et les Européens.

Alors que le délai pour souscrire s'achève mardi 31 mars 2015 au soir, l'Égypte a annoncé, la veille, lundi 30 mars 2015, sa décision de rejoindre la Banque asiatique d'investissement pour les infrastructures (BAII - AIIB). Elle en deviendra officiellement le 14 avril 2015 un membre fondateur. La Turquie a posé sa candidature vendredi 27 mars 2015. La BAII devrait commencer ses activités fin 2015. 

Les Etats-Unis jettent l'éponge. Ils vont coopérer avec la BAII 

Le lundi 31 mars, date butoir pour le dépôt des candidatures pour devenir membre fondateur de la BAII, le secrétaire américain au Trésor, Jacob Lew, a déclaré que son pays prévoyait de coopérer avec la Banque asiatique d'investissement pour les infrastructures. Cette annonce s'est faite après un entretien d'une heure que M.Lew a eu avec le Premier ministre chinois Li Keqiang ce lundi à Beijing, selon le vice-ministre chinois des Finances Zhu Guangyao. M.Zhu a confirmé, à l'Agence de presse Xinhua que le secrétaire américain au Trésor souhaitait la bienvenue à la Chine pour jouer un plus grand rôle dans les affaires économiques internationales. C'est une passation de pouvoir, pour ne pas dire une capitulation. Après avoir vu ses alliés les plus solides partir et l'un après l'autre, rejoindre le projet chinois, les Etats-Unis ont fini par faire un constat amer; ils ont été tout simplement ignorés et traités comme quantité négligeable dans cette affaire. Avec ou sans eux la BAII se fera et le monde entier, hormis le fidèle Japon et quelques petits satellites, sera là pour y participer. Que faire d'autre maintenant sinon tenter de jouer avec les instruments qui sont encore en sa possession, le FMI et la Banque mondiale, avec lesquels la BAII aura à coopérer d'une manière ou d'une autre? 

Le Japon s'interroge sur sa participation à la BAII. L'administration Obama a été prise de court par le ralliement de plusieurs poids lourds européens (Royaume-Uni, France, Allemagne...) à cette banque qui compte déjà une trentaine d'Etats membres, comme l'Australie ou la Corée du Sud et l'Egypte. D'ailleurs, Séoul prendrait 4 à 5% de la Banque asiatique d'investissement. La France, l'Allemagne et l'Italie ont décidé, après le Royaume-Uni, de rejoindre la nouvelle Banque asiatique d'investissement pour les infrastructures. Cette décision des trois capitales européennes, est à l'évidence un revers diplomatique pour les Etats-Unis. Constatant leur isolement, les Etats-Unis ont commencé à infléchir leur position en ouvrant la porte à une coopération avec la banque chinoise. 

Mon Dieu protégez moi de mes amis, mes ennemis ; je m’en charge !

Cette citation attribuée à Talleyrand illustre d’une façon parfaite, la perfidie des vassaux vis à vis de l’empire. « Il fallait bien que ça explose un jour, lit-on sur le journal Le Monde, mais la déflagration est partie de là où on ne l'attendait pas. La rivalité entre les Etats-Unis et la Chine pour la domination économique du globe a fait, le 12 mars, un détour surprenant par la Grande-Bretagne qui, bravant la fatwa de Washington, a annoncé son intention de rejoindre la nouvelle banque régionale de développement chinoise AIIB comme membre fondateur. Epidermique et un peu ridicule, la réaction des Etats-Unis ne s'est pas fait attendre. Un responsable américain, s'abritant derrière l'anonymat, a accusé Londres d'être « dans des arrangements constants avec Pékin », (...). Une fois que les Britanniques, censés entretenir une relation privilégiée avec les Etats-Unis, avaient ouvert la brèche en rejoignant l'AIIB, trois autres pays européens s'y sont engouffrés.» 

On est toujours par définition écrit Philippe Bernard, trahi par ses alliés, mais le coup a néanmoins été rude pour Washington. Jeudi 12 mars, le chancelier de l'Echiquier, George Osborne, a créé la surprise en annonçant la décision de faire du Royaume-Uni un membre fondateur de la Banque asiatique d'investissement pour les infrastructures (BAII) que la Chine a lancée en octobre 2014. Rejoindre la BAII représente «une chance sans équivalent pour le Royaume-Uni et l'Asie d'investir et de dégager ensemble de la croissance», s'est félicité M.Osborne. 

Après Londres, ce sont donc Paris, Berlin et Rome qui ont décidé de rejoindre le 17 mars la Banque asiatique lancée par la Chine, en octobre 2014. Paris, Berlin et Rome soulignent qu'elle aura « vocation à travailler en partenariat avec les banques multilatérales d'investissement et de développement existantes ».

*Professeur, Ecole Polytechnique enp-edu.dz

samedi, 04 avril 2015

Vladimir Poutine prépare-t-il un « gros coup » avec le Japon ?

590431_le-premier-ministre-japonais-shinzo-abe-serre-la-main-de-vladimir-poutine-le-29-avril-2013-a-moscou.jpg

Vladimir Poutine prépare-t-il un « gros coup » avec le Japon ?

Arnaud Dubien*
Ex: http://metamag.fr
 
Pendant que la Russie et l’Occident restent enfermés dans la logique des sanctions, Vladimir Poutine se tourne vers l’Asie, et particulièrement vers le Japon. Arnaud Dubien, directeur de l’Observatoire franco-russe, analyse les futures relations entre la Russie et le Japon.

Rendons tout d’abord à César ce qui lui appartient. Le thème et la thèse du présent post de blog m’ont été inspirés par Jean Radvanyi, professeur à l’INALCO et membre du conseil scientifique de l’Observatoire, le 12 mars dernier lors du festival géopolitique de Grenoble. Le sujet est, à mon avis, d’importance majeure, et je crains qu’il soit hors des radars européens.

Depuis plusieurs semaines, l’attention de la presse et des milieux politiques occidentaux se focalise sur l’unité fissurée des États-membres de l’UE quant à la prorogation des sanctions économiques sectorielles adoptées l’été dernier et devant « tomber » le 31 juillet 2015. Sept pays au moins, du sud ( Chypre, Grèce, Espagne, Italie ) ou de l’ex-empire des Habsbourg ( Autriche, Hongrie, Slovaquie ), ne cachent plus leur hostilité à la logique des sanctions. Pour sa part, le Kremlin réédite sa politique du « salami » visant à accentuer ces divisions, ce qui est de bonne guerre.

Mais la Russie travaille au-delà de l’Europe. En direction des BRICS et de puissances régionales clés ( Iran, Égypte, Turquie ), bien sûr. Dans cette démarche visant à rééquilibrer sa politique étrangère, la Chine – premier partenaire commercial de Moscou – occupe une place centrale. Mais Moscou, de sources concordantes, veut également ouvrir une brèche dans l’unité occidentale… en Asie. La « cible » est le Japon.

Le contexte bilatéral russo-japonais est bien connu. Le contentieux sur les Kouriles a, jusqu’ici, empêché un rapprochement qui ferait pourtant sens au vu de la montée en puissance de la Chine et des complémentarités économiques entre les deux pays. L’alliance militaire entre Tokyo et Washington limite également les marges de manœuvre des Japonais. Paradoxalement, c’est Dmitri Medvedev – auquel les poutiniens purs et durs reprochent sa mollesse sur le dossier libyen – qui a exacerbé les tensions avec Tokyo en 2011 en se rendant sur les Kouriles et en annonçant une militarisation des îles.

Mais un « alignement des astres » favorable se met en place, qui laisse entrevoir une percée diplomatique et, potentiellement, un véritable mouvement tectonique en Asie du Nord-Est. Trois facteurs au moins poussent le Kremlin à s’engager sur cette voie : la volonté de « retourner » un pays occidental de premier plan, ce qui serait un camouflet pour les Etats-Unis ; la crainte ( implicite, mais réelle ) que les choses aillent trop vite et trop loin avec les Chinois ; enfin, la possibilité d’obtenir des investissements japonais massifs en Sibérie ( et ailleurs en Russie ).

L’affaire de Crimée change également la donne : Poutine peut d’autant plus facilement faire des concessions sur les Kouriles  comme il l’a d’ailleurs fait en 2004 avec la Chine et en 2010 avec la Norvège ) qu’il a « récupéré » la Crimée. L’obstacle de politique intérieure, qui avait fait capoter une initiative semblable envisagée par Boris Eltsine en 1992, n’existe plus. Côté japonais, on s’inquiète du rapprochement entre Moscou et Pékin et on est prêt, semble-t-il, à franchir le Rubicon. Hasard ou pas, la chancelière Merkel a eu un long échange avec son homologue japonais début mars afin de le convaincre de maintenir les sanctions en l’état.

Aux dernières nouvelles, la visite de Vladimir Poutine à Tokyo doit avoir lieu avant l’été. À suivre.

*directeur de l’Observatoire franco-russe

vendredi, 03 avril 2015

Lee Kwan Yew

leeap_lky.jpg

LEE KWAN YEW
 
Un homme s’en est allé

Auran Derien
Ex: http://metamag.fr
Lee Kwan Yew, souvent qualifié de despote éclairé, n’est plus. A la tête de Singapour pendant trente et un an, le cloaque qu’était la ville du temps de la colonisation s’est métamorphosé en un phare mondial de la civilisation.
 
Un parti dominant pour assurer la stabilité

Singapour compte à peu près 5,5 millions d’habitants et la direction est assurée par une petite équipe, rappelant la métaphore de l’orchestre, chère à la tradition asiatique. Lee Kwan Yew avait quitté le devant de la scène en 1990, après 31 ans de responsabilités et, en 2004, son fils Lee Hsien Loong devint premier ministre, une fois qu’il eut prouvé ses capacités en surmontant la crise financière de 1997-1998 et la pandémie de SRAS. Le népotisme a été explicitement rejeté par le grand homme qui déclarait, à la manière des vieux romains, qu’on ne saurait sacrifier le bien commun aux intérêts familiaux. Chacun doit montrer ses aptitudes avant d’être promu, car seul le mérite compte.
 
Le système du parti dominant est fondamental pour assurer une évolution à long terme, affirmait le leader. Il expliquait volontiers que la cité-État avait dû se construire à partir d’éléments hétérogènes. Il avait fréquemment développé sa pensée sur le multiculturalisme et il affirmait que cela conduisait les personnes à voter pour leur secte ou leur ethnie de sorte que le désordre et la corruption en résultaient nécessairement.
 
L’ordre à Singapour, cette dimension fondamentale de toute vie collective de qualité, s’inspire de la tradition antique, tant chinoise que romaine ; il est une discipline du comportement obtenue à travers l’étiquette, le code qui indique les droits et devoirs de chacun. Cela permet de comprendre le rôle de la police dont la plus grande partie des membres agit en civil ; elle surveille toute entorse au code, de manière plus efficace. Le taux de criminalité de Singapour figure parmi les plus bas du monde, les rues étant sûres à toute heure, comme il en était ainsi en Europe jusqu’aux années quatre vingt.
 
Un Etat stratège

La politique de Lee Kwan Yew s’appuya sur le principe fondamental qu’il n’est de richesse que d’hommes. Pour nettoyer les écuries qu’il trouva à son arrivée au pouvoir, des lois furent promulguées qui surtaxaient les enfants des femmes sans éducation et favorisaient la fécondité des femmes de niveau universitaire. Il en résulte qu’aujourd’hui cette cité-État possède le plus haut Quotient Intellectuel moyen par habitant. L’enseignement est privilégié, à travers la présence de nombreuses universités de classe internationale.
 
La création de l’ASEAN en 1967 fut une initiative de cet homme. Son successeur direct Goh Chok Tong a été à l’origine du premier “sommet euro-asiatique” de Bangkok en 1996. La multiplicité des accords signés avec des groupes capables de contribuer au développement de la Ville témoigne d’une lucidité et d’une largeur de vue qui a fui l’Europe actuelle, lieu d’un obscurantisme qui prépare le grand silence des cimetières.

Préoccupation pour la beauté

La qualité de vie d’une population urbaine est liée à la beauté de son environnement, en particulier la propreté des lieux publics. De grosses contraventions sont imposées aux personnes qui jettent des papiers et déchets, qui crachent ou qui urinent dans les endroits ouverts au public. Par exemple, manger et boire sont interdits dans les bus et dans le métro. La vente de chewing-gum a été prohibée en 1992, mais pas l’usage. Depuis mai 2004, date d'un accord commercial avec les États-Unis, la vente de chewing-gum pour des usages médicaux ou dentaires est autorisée, pourvu que le client présente à la pharmacie un document d’identité.
 
Tranquillité des transports

Les propriétaires de voitures sont soumis à de fortes taxes. Il leur est demandé d’acquérir un “Certificat d'ayant droit” à un prix élevé. Il s’agit d’une autorisation, rendue obligatoire, pour utiliser une voiture librement. Il a été installé un système automatique de péage, appelé « péage urbain électronique » fonctionnant à certaines heures pour réguler efficacement le trafic routier. Enfin, le prix d’achat des voitures les transforme en objet de luxe. Singapour, malgré sa petite surface ne connaît que très peu de bouchons.

La civilisation des mœurs

Les manifestations sans autorisation, de même que les grèves, sont interdites. Un type précis de censure est pratiqué ouvertement. Certains magazines et journaux n’ont qu’une distribution restreinte et la possession d’antennes paraboliques est interdite au profit de la distribution par câble. Des objets à signification politique ou susceptibles de nuire à l'harmonie religieuse et culturelle sont prohibés.
 
La pornographie est bannie. Les représentations touchant au sexe sont soumises à restrictions, éliminant de la libre-circulation des journaux trop spécialisés. En général, les films qui comportent des scènes de nudité, d’érotisme et de violence sont classés.

Selon la sagesse asiatique, le vice étant une dimension de l’homme, il convient de l’organiser pour éviter qu’il ne se répande et salisse tout. La prostitution est donc autorisée dans des districts bien précis. En contrepartie le comportement vis-à-vis des femmes, notamment en public, ne doit jamais être équivoque. Sur simple dénonciation, la police peut procéder à des arrestations pour "attentat à la pudeur". Des Européens de passage à Singapour se retrouvent ainsi régulièrement bloqués pour ce motif. On les garde au frais une quinzaine de jours avant qu’ils ne comparaissent devant un tribunal.

La vente d'alcool et de tabac est interdite aux personnes de moins de 18 ans. Les lois anti-drogues sont très strictes. Quiconque est pris en possession de plus de 14 gr. d'héroïne, plus de 28 gr de morphine ou 480 gr de cannabis est passible de la peine de mort. La possession d’ustensiles en permettant la consommation (pipes, seringues, etc...) est interdite. 

Dans ses déclarations, Lee Kwan Yew n’a jamais caché que la politique qu’il suivit à Singapour consistait à appliquer des vertus que les Européens avaient possédées et pratiquées en d’autres temps. Pour leur plus grande disgrâce, ils les avaient oubliées ou leurs nouveaux maîtres les leur avaient fait détester.
 
La voie de Singapour, depuis l’auto-contrôle individuel jusqu’à la sélection de la population, le bien commun considéré comme supérieur aux obsessions individuelles et l’espace public protégé des vilainies de quelque secte que ce soit, reste ouverte aux Européens qui voudraient se réveiller du cauchemar  dans lequel les a poussé l’oligarchie financière occidentale. 

lundi, 30 mars 2015

Russland setzt auf Währungsallianz mit China

Russland setzt auf Währungsallianz mit China

Ex: http://www.unzensuriert.at

 
Ein stabiler Wechselkurs von Dollar zu Yuan ist die Basis einer neuen Währungspolitik. Foto: Federal Reserve / Wikimedia (CC BY-SA 3.0)
 
Ein stabiler Wechselkurs von Dollar zu Yuan ist die Basis einer neuen Währungspolitik.
Foto: Federal Reserve / Wikimedia (CC BY-SA 3.0)

Einen weiteren Schritt in Richtung Abschaffung des US-Dollars als Weltwährung haben nun Moskau und Peking gestartet. Am vergangenen Dienstag gab Russland den Startschuss zum Handel sogenannter Yuan-Rubel-Futures. Mit diesen Futures-Kontrakten soll der Markt für das Währungspaar Chinesischer Yuan / Russischer Rubel im internationalen Wirtschaftskreislauf erschlossen werden. Basis ist der sprunghafte Umsatzanstieg des Handels an der Moskauer Börse in der chinesischen Yuan-Währung.

So explodierte der Handel um nicht weniger als 700 Prozent, d.h. auf 395 Milliarden Rubel, die in der chinesischen Währung gehandelt wurden. Und dies ging ausschließlich zu Lasten des US-Dollars. Wobei gleichzeitig der Wechselkurs zwischen US-Dollar und Yuan in den letzten Jahren sehr stabil war. Dies privilegiert den Yuan zusätzlich als eine der neuen Weltwährungen. 

Moskau: Währungssicherungselemente werden geschaffen

Laut Andrej Schemetow, dem Chef der Moskauer Börse, ist dies die Basis für die Etablierung einer vollständigen Palette von Yuan-Sicherungselementen beim internationalen Warenverkehr. Damit versucht mach die Spekulationsangriffe von Seiten der USA gegen den Rubel, die seit dem Ausbruch der Ukraine-Krise fortlaufend stattfinden, zu neutralisieren. Handelssanktionen und andere Instrumente des Westens gegen Moskau im Zuge des laufenden Wirtschaftskriegs verlieren so ihre Wirksamkeit.

dimanche, 29 mars 2015

The New Order Emerges

AIIB_logo.jpg

The New Order Emerges

By

GoldMoney

China and Russia have taken the lead in establishing the Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), seen as a rival organisation to the World Bank and the Asian Development Bank, which are dominated by the United States with Europe and Japan.

These banks do business at the behest of the old Bretton Woods* order. The AIIB will dance to China and Russia’s tune instead.

The geopolitical importance was immediately evident from the US’s negative reaction to the UK’s announcement this week that it would join the AIIB. And very shortly afterwards France, Germany and Italy also defied the US and announced they might join. In the Pacific region, one of America’s closest allies, Australia, says she is considering joining too along with New Zealand. The list of US allies seeking to join is growing. From a geopolitical point of view China and Russia have completely outmanoeuvred the US, splitting both NATO and America’s Pacific alliances right down the middle.

This is much more important than political commentators generally realise. We must appreciate that anything China does is planned well in advance. Here is the relevant sequence of events:

• In 2002 China and Russia formally adopted the founding charter for the Shanghai Cooperation Organisation, an economic bloc that today contains about 35% of the world’s population, which will become more than 50% when India, Pakistan, Iran, Afghanistan and Mongolia join, which is their stated intention. Russia has the resources and China the manufacturing power to develop the largest internal market ever seen.

• In October 2013 George Osborne was effectively summoned to Beijing because China wanted London to be the base to develop renminbi-denominated financial instruments. London has served China well, with the UK Government even issuing the first renminbi-denominated foreign (to China) government bond. The renminbi is now on the way to being a fully-fledged international currency.

• The establishment of an infrastructure bank, the AIIB, will ensure the lead funding is available for the rapid development of road, rail, electric and electronic communications throughout the SCO, ensuring equally rapid economic development of the whole of the Asian continent. It could amount to the equivalent of several trillion dollars over time.

The countries that are applying to join the AIIB realise that they have to be members to access what will eventually become the largest single market in the world. America is being frozen out, the consequence of her belligerence over Ukraine and the exercise of her hegemonic power through the dollar. America’s allies in South East Asia are going with or will go with the new AIIB, and in Europe commercial interests are driving America’s NATO partners away from her, turning the Ukraine from a common cause into a festering liability.

The more one thinks about it, the creation of the AIIB is a masterstroke of tactical genius. The outstanding issue now is China and Russia will need to come up with a credible plan to make their currencies a slam-dunk replacement for the dollar. We know that gold may be involved because the SCO members have been accumulating bullion; but before we get there China must manage a deliberate deflation of her credit bubble, which will be a delicate and dangerous task.

Unlike the welfare-driven economies in the west, China has sufficient political authority and internal control to survive a rapid deflation of bank credit. When this inevitably happens the economic consequences for the west will be very serious. Japan and the Eurozone are already facing economic dislocation, and despite over-optimistic employment numbers, the US economy is faltering as well. The last thing America and the dollar needs is a deflationary shock from China.

The silver lining for us all is a peace dividend: it is becoming less likely that America will persist with a call to arms, because support from her allies is melting away leaving her on her own.

*The Bretton Woods system of monetary management established the rules for commercial and financial relations among the world’s major industrial states in the mid-20th century.

-Disclaimer- The views and opinions in this article are those of the author, do not reflect the views and opinions of GoldMoney, and are not advice.

Reprinted with permission from GoldMoney.

jeudi, 26 mars 2015

Le bouddhisme, ce n’est pas forcément la fête du slip tous les dimanches

bd3346ba561b5b55180dd1441a09d1ee_XL.jpg

Le bouddhisme, ce n’est pas forcément la fête du slip tous les dimanches

Journaliste, écrivain
Ex: http://www.bvoltaire.fr

Finalement, il n’y avait guère que les Beatles et le fils de Jean-François Revel, le type habillé de doubles rideaux orange, avec son sourire niais, ses conseils de bien-être à la con et son nom d’apéro, pour laisser croire à l’Occident tout entier, et à la vieille Europe en particulier, que le bouddhisme, c’est cool.

Bangkok avril 034.jpgCelui qui l’a appris à ses dépens, c’est un Néo-Zélandais, gérant de bar en Birmanie (Myanmar, SVP), un certain Phil Blackwood, condamné à deux ans et demi de prison pour avoir portraituré Bouddha avec des écouteurs sur la tête, juste histoire de faire de la publicité pour son bar, « lounge », évidemment. Eh oui, le bouddhisme, ce n’est pas forcément la fête du slip tous les dimanches. Le Phil Blackwood en question a eu beau s’excuser, battre coulpe et montrer patte blanche : pas de remise de peine et case prison direct.

Peut-être parce qu’en face, il y a du lourd. Un certain Wirathu, moine bouddhiste au nom de Yoda, façon Guerre des étoiles, particulièrement sourcilleux en la matière, toujours prompt à taper sur la minorité musulmane locale – environ 5 % des 53 millions de Birmans – et n’hésitant pas à traiter l’envoyée locale de l’ONU de « prostituée », parce que trop encline à défendre la minorité mahométane en question.

Il est un fait que le terrorisme bouddhiste est plus qu’une simple vue de l’esprit. En 2013, un numéro du Times (institution hebdomadaire américaine) a été interdit au Sri Lanka pour avoir titré en une : « La face terroriste du bouddhisme ». Tandis que, depuis 2012, 240 personnes ont été massacrées, pour leur simple appartenance à la religion musulmane. Et l’on vous épargne le chiffrage des personnes « déplacées ». Ça se compte en centaines de barcasses, façon Lampedusa.

Il est un fait que, vu d’ici, tout cela a de quoi laisser perplexe. Et que du bouddhisme, nous n’avons que la version dalaï-lama, lequel déclarait récemment, à en croire La Croix : « Ayez à l’esprit l’image du Bouddha avant de commettre ces crimes. Le Bouddha prêche l’amour et la compassion. Si le Bouddha était là, il protégerait les musulmans des attaques des bouddhistes. »

Seulement voilà, quand on se reporte à l’indispensable Petit lexique des idées fausses sur les religions, opuscule signé de l’excellent Odon Vallet, on y apprend également ceci : « Le dalaï-lama ne représente que 2 % des bouddhistes. » Le reste ? Des hommes comme les autres, en proie à des positions plus nationalistes que spirituelles. Des problèmes tant sociétaux que territoriaux ; avec, en arrière-fond, l’éternelle guerre du pétrole.

Pour le reste, cette autre éternelle question consistant en la représentation du divin. Elle est partout prégnante et se résout, selon le degré d’imprégnation spirituelle du lieu, de manière plus ou moins violente. Que l’on n’y croie ou pas, la question est loin d’être réglée. Et nous y avons les deux pieds gauches en plein dedans.

mercredi, 25 mars 2015

Et si la France rejoignait l'Organisation de Shanghai?

carteb.jpg

Et si la France rejoignait l'Organisation de Shanghai?

Auteur : Alexandre Latsa
Ex: http://zejournal.mobi

Dans un monde dont le centre de gravité se déplace de plus en plus rapidement vers l'Asie, et alors que la Chine est prête à assumer son statut de première puissance planétaire, la France pourrait prouver que l'Europe se souvient que son prolongement géographique naturel est l'Asie.

Environ 45 ans après la fin du cycle historique que constitua la « grande guerre mondiale de 30 ans » (1914-1945), la victoire de l'Amérique et du « monde libre » sur l'Union soviétique a sans doute été rendue possible par la diffusion globale de l'American way of life, très habilement diffusée via un outil de propagande redoutable et historiquement encore inégalé: Hollywood.

L'Amérique surfait aussi sur ses authentiques succès, et son image d'après-guerre était illustrée par un cliché plutôt juste: l'Américain du milieu des années 60 était l'homme le plus riche et le plus heureux du monde. Son mode de vie était envié et son avenir radieux semblait assuré, grâce au formidable essor économique de son pays. Si l'Amérique n'avait pas encore gagné militairement ni politiquement la guerre froide, elle avait déjà conquis les cœurs de la majorité des habitants de la planète, et pas seulement dans le monde occidental et européen.

La chute de l'Union soviétique semblait avoir ouvert un boulevard civilisationnel infini, qui aurait dû théoriquement permettre à la planète entière de devenir une copie de l'Amérique, au fur et à mesure que la domination de l'hyperpuissance se confirmait. Pourtant, le développement de cette politique de puissance et d'influence n'a pas toujours été très habile, et il a rencontré des difficultés imprévues.

Historiquement, cette hyper-extension de la puissance planétaire s'est pourtant accompagnée d'un affaiblissement de sa position dominante en tant que modèle. Elle n'a pu ni prévoir, ni empêcher l'extraordinaire essor de la Chine, et l'attentat du 11 septembre a bouleversé sa politique étrangère en l'engageant dans une lutte quasi-civilisationnelle contre l'islam radical.

Ce nouveau conflit de civilisations a brisé le rêve d'un monde dominé par le modèle américain. Comme symbole de la nouvelle Amérique, l'image du Californien heureux et souriant a laissé la place à l'image d'un Texan prétentieux et vindicatif appelant à utiliser l'armée américaine à tout bout de champ pour régler tous les problèmes de la planète.

La crise financière de 2008 a sans doute porté un coup fatal au « modèle américain pour le monde ». Derrière la façade reluisante des banques et du capitalisme triomphant, la crise des "subprimes" a dévoilé un monde d'usuriers et d'escroqueries à grande échelle, avec des faillites de banques et de fonds de retraite. Parallèlement à cette évolution, l'émergence de nouveaux acteurs régionaux s'accélère: le capitalisme libéral dont l'Amérique s'était servi pour dominer économiquement l'Ile-monde connaît de nouveaux développements dont le centre de gravité n'est plus en Amérique.

Pour la France, qui appartient à la civilisation européenne et actuellement au bloc politique, économique et militaire américano-centré, cette évolution pourrait être fondamentale et sans doute justifier que soit repensée notre politique extérieure.

Membre de l'Otan, possédant une forte communauté musulmane, la France est régulièrement impliquée, via des dispositifs techniques contraignants, aux velléités de la politique étrangère de Washington, surtout depuis qu'elle est redevenue un acteur de la coalition occidentale et de l'Otan.

Cette alliance d'un autre temps (celui de la guerre froide), dont la raison d'être est discutable puisque le pacte de Varsovie n'est plus, se cherche en permanence de nouveaux ennemis. Ceci permet à l'Amérique d'étendre de manière continue sa sphère d'influence et de domination économique, tout en mettant de plus en plus souvent ses membres et alliés en porte-à-faux avec un nombre croissant d'acteurs mondiaux.

Dans une logique gaullienne qui envisagerait un nouvel équilibre d'alliances tout en conservant une authentique souveraineté stratégique, la politique étrangère française pourrait envisager une voie diplomatique originale et se rapprocher de l'Organisation de la coopération de Shanghai (OCS).

Cette organisation, créée en 2001 par le tandem russo-chinois (déjà) et cinq autres membres fondateurs (Kazakhstan, Kirghizstan, Tadjikistan et Ouzbékistan) comprend à ce jour également cinq États observateurs (Afghanistan, Inde, Iran, Mongolie et Pakistan) et trois États partenaires de discussion: la Biélorussie, le Sri Lanka et la Turquie. Le sommet de l'OCS qui se tiendra cette année en Russie, au cœur de la région musulmane du Bachkortostan, pourrait voir l'Inde et le Pakistan obtenir le statut de membre complet, permettant ainsi à l'organisation de compter trois des BRIC.

Ce géant, assez méconnu en France, représente un cartel politique non-occidental de 37,5 millions de km² comprenant plus de 40% de la population mondiale et disposant de 20 % des ressources mondiales de pétrole, 38 % du gaz naturel, 40 % du charbon, et 50 % de l'uranium.

L'organisation, qui n'est pas une alliance militaire, se veut avant tout antiterroriste et axée sur la zone géographique eurasiatique, asiatique et pacifique. La France pourrait, en se rapprochant de l'OCS devenir la première puissance européenne membre stricto-sensu et ainsi conforter ses positions a trois niveaux différents:

1) Affirmer ses ambitions en Asie-Pacifique sans y laisser l'exclusivité à l'Amérique en tant que puissance occidentale.

2) Réitérer son statut de puissance continentale et euro-eurasiatique, prouvant ainsi que toutes les nations européennes ne sont pas mues par une unique dynamique atlantiste et tournée vers l'Ouest. Ce choix pourrait s'avérer doublement judicieux au moment où l'Eurasie semble se structurer, notamment avec l'Union eurasiatique.

3) Assurer une relation privilégiée avec la Russie au sein de ce dispositif et détruire ainsi la logique en cours qui tend à opposer, demain, ce bloc de Shanghai (russo-asiatique) au bloc de Washington (euro-américain), en évitant ainsi que ne réapparaisse une logique bipolaire similaire à celle que le monde a connu de 1945 à 1991.

Dans un monde dont le centre de gravité se déplace de plus en plus rapidement vers l'Asie, et alors que la Chine est prête à assumer son statut de première puissance planétaire, la France prouverait ainsi que l'Europe se souvient que son prolongement géographique naturel est l'Asie.

L'Hexagone a tout intérêt à en tenir compte pour « peser » dans le monde de demain, face aux géants qui écriront l'histoire au sein de la région Asie/Pacifique.


- Source : Alexandre Latsa

dimanche, 22 mars 2015

Europe also pivots – to China

 

eurasie7.png

Europe also pivots – to China

By M K Bhadrakumar 

Ex: http://blogs.rediff.com

The decision by Britain to seek admission to the Asian Infrastructure Investment Bank [AIIB] as a founding member apparently took Washington by surprise. The State Department spokesperson admitted that there was “virtually no consultation with the US” and that it was “a sovereign decision made by the United Kingdom.” In the coming weeks, it is going to be even harder for the US to reconcile with Australia following Britain’s footsteps, since President Barack Obama had personally intervened with Prime Minister Tony Abbott last October not to do any such thing. South Korea and France too are likely to join the AIIB. (Guardian)

Britain maintains that the decision was taken in the “national interest” and that the underlying considerations are purely economic. But, surely, Britain cannot but be aware that the AIIB is a dagger aimed at the heart of the Bretton Woods system. Worse still, China practically aims to enter the Bretton Woods system as a presiding deity. As a commentary by Xinhua put it,

“Rising to become the second largest economy in the world, China is advocating and working on revising the current international system… China has no intention of knocking over the chessboard, but rather in trying to help shape a more diverse world playing board… China wishes to see its currency included in the IMF basket in accordance with the weight the yuan now exerts on international goods and services trade. China welcomes cooperation from every corner of the world to achieve shared prosperity based on common interest, but will go ahead anyway when it believes it is in the right.”

The European countries understand that the AIIB provides an essential underpinning for China’s Silk Road strategy (known as the ‘Belt and Road’ initiatives). The former French prime minister Dominique de Villepin wrote recently in the French business daily Les Echos that China’s Silk Road offered France and other European countries opportunities to harness lucrative agreements in the transport sector and urban services. “It is a task that should mobilize the European Union and its Member States, but also local authorities, chambers of commerce, and businesses, not to mention universities and think tanks,” De Villepin suggested.

Do the European minds fail to comprehend the geopolitics? Of course, they perfectly well understand. To quote De Villepin, in diplomatic terms, the Silk Road is “a political vision which paves the way to European countries to renew dialogue with partners on the Asian continent which could help to find, for instance, flexible projects between Europe and Russia, in particular, to find [the funds] necessary for the stabilization of Ukraine. The thread between the East and West has yet to take hold.”

Russia too has grasped the strategic significance of China’s Silk Road. Moscow has reportedly drafted a 10-year strategy for the Shanghai Cooperation Organization to be taken up at the forthcoming summit of the body in July in Ufa, which, according to the current SCO secretary general (a Russian diplomat, by the way), “will be the SCO’s proclamation for deeper and wider participation in global affairs”, combining the national economic strategies of SCO member countries with China’s Silk Road project.

To be sure, the US’ European allies Britain, France and Germany are finding their own pathways to China (and Russia). Britain’s trade volume with China has touched $70 billion and the Chinese investments in the past 3-year period have exceeded the entire amount invested until then.

As De Villepin put it eloquently in his article, haunted by volatile financial markets and economic woes, and challenged by security threats, France and its European partners have to join China’s efforts to re-build the Silk Road. De Villepin acknowledged that China’s Silk Road strategy is crafted to suit China’s interests as it offers “a flexible framework to meet the major challenges facing the country,” including the globalization of the Asian powerhouse’s domestic economy and strengthening the global role of its currency in world trade, and, domestically, to re-balance the provinces’ development and household consumption as well.

Nonetheless, Europe doesn’t see it in zero sum terms, because the fresh approach to economic development and the proposed diplomatic boost would “fill the void” between Asia and Europe by creating a link between the nations’ infrastructure, financial, and communication industries. “It is an economic vision which adapts Chinese planning to international economic cooperation. In a volatile and unstable financial world, it is necessary to take the right approach to long-term projects using new multilateral tools,” De Villepin wrote.  

Germany sees things the same way as Britain and France. Chancellor Angela Merkel said yesterday at the inaugural of the Hanover Fair that German economy views China not only as the most important trading partner outside Europe, but also as a partner in the development of complex technologies. China is the official partner country of CeBIT 2015. Merkel welcomed Chinese companies coming to CeBIT 2015, saying they embody innovation and China’s role as partner country of the fair is an essential component of China-Germany innovation cooperation.

The Obama administration is missing the plot. How could this happen to a cerebral president — getting marooned in Mesopotamia in an indeterminate war and in Eurasia in chasing objectives that by no means directly impact the US’ vital interests — while such a momentous reconfiguration of the Asian Drama is unfolding right under his nose?

Beijing has knocked the bottom out of the US’s ‘pivot’ strategy to contain China — not only in intellectual terms but also in political and diplomatic terms. Beijing plans to unveil the implementation plan for ‘Belt and Road’ shortly at the 2015 Boao Forum later this month. Sources in Beijing told Xinhua that “hundreds” of infrastructure projects are being identified.

china-rail-mos_1124140529311.jpg

samedi, 21 mars 2015

Tekos 157

Ex: Nieuwsbrief Nr 92 - Maart 2014
TEKOS 157 is klaar!

 

INHOUDSOPGAVE

  • Editoriaal
     
  • Wordt de 21 ste eeuw de Chinese eeuw
    door Peter Logghe
     
  • De Chinese volksdemocratie
    door Peter Kuntze - vertaling door Peter Logghe
     
  • China: de terugtrekking voor de tijgersprong
    door Frank Zwijgers
     
  • Japan - de ongerustheid van een supermacht
    door Peter Logghe
     
  • De onbekende factor; (Noord-) Korea
    door Peter Logghe
     
  • India, land van de onbeperkte mogelijkheden?
    door Peter Logghe
     
  • De Jezedi 's en de Indo-Iraanse cultuur in Iraaks-Koerdistan
    door Nick Krekelbergh
     
  • Schrijvers en Lezers
    door Peter Logghe en Francis Van den Eynde
     
 
 

vendredi, 20 mars 2015

L'Amérique prépare une nouvelle guerre du Pacifique

asia-map.gif

L'Amérique prépare une nouvelle guerre du Pacifique

par Jean-Paul Baquiast

Ex: http://www.europesolidaire.eu

Ceci paraîtra une plaisanterie, mais il n'en est rien. Dans cette guerre, l'ennemi ne sera plus le Japon, mais la Chine. Pour s'en convaincre, il suffit de lire un document que Washington vient de rendre public, intitulé " A Cooperative Strategy for 21st Century Seapower: Forward, Engaged, Ready ” dit aussi CS21R (référence ci-dessous)
 
Ce document, préparé par l'US Navy, les corps de Marine et les Gardes côtes, actualise l'ancienne stratégie maritime définie en 2007. Il marque un changement profond d'orientation, traduisant ce que Barack Obama a nommé le « pivot vers l'Asie ». Il insiste sur l'importance croissante au plan stratégique de ce qu'il nomme l' «  Indo-Asia-Pacific region ». Cette importance, aux plans économique, militaire et géographique impose aux Etats-Unis de pouvoir s'appuyer sur des forces navales capables de protéger les intérêts américains.
 

carte-mer-de-chine.jpg

Le CS21R insiste sur le fait qu'il est impératif pour les Etats-Unis de maintenir « une prédominance navale globale » afin d'empêcher les adversaires de l'Amérique de faire usage contre elle des théâtres océaniques mondiaux. La possibilité de mener dans les eaux internationales des opérations loin des côtes américaines constitue un élément essentiel de cette prédominance.

Le principal (et seul) de ces adversaires, bien que non nommé, est la Chine. Le Pentagone a prévu dans le même temps des plans de guerre contre la Chine connus sous le nom de “AirSea Battle”. Ils reposent sur la capacité de monter contre la Chine une opération massive, aérienne et à base de missiles, très en profondeur sur le territoire chinois lui-même. Il s'agira de détruire les infrastructures militaires et économiques chinoises, ce qui sera suivi d'un blocus économique. Au prétexte d'assurer la liberté de navigation dans les grandes voies maritimes, le Pentagone se met en état de bloquer les routes utilisées par la Chine dans l'océan Indien lui permettant d'importer des produits pétroliers et des matières premières en provenance de l'Afrique et du Moyen-Orient.

A cette fin, le CS21R prévoit de « rebalancer » 60% des forces navales et aériennes des Etats-Unis vers la zone Indo-Pacifique. L'US Navy entretiendra au Japon un groupe de porte-avions d'attaque et des forces d'intervention rapide aéro-navales adéquates (Carrier Strike Group, Carrier Airwing and Amphibious Ready Group). Elle ajoutera de nouveaux sous-marins d'attaque et navires de combat littoral à ceux existants déjà à Guam et Singapour.

 

chine-martine-CORR.jpg

 

Renvoyons au document pour plus de détail concernant l'énorme force déjà en place et les renforts à lui apporter d'ici les 5 prochaines années. Apparemment les crédits ne vont pas manquer, non plus que l'accord de tous les pays qui seront nécessairement impliqués, avec ou sans leur consentement éclairé, dans ces opérations de guerre. Comment la Chine va-t-elle prendre tout ceci?  La question apparemment n'est pas posée. Certains diront que tout document stratégique prévoit la possibilité de mener des guerres contre d'autres puissances, même si de telles guerres ne sont jamais engagées. Mais en ce cas, la seule et unique puissance visée est la Chine, et tout semble indiquer que le document est destiné à préparer contre elle des interventions militaires qui n'auront rien de théorique. .

Dans le même temps, chacun a pu noter les cris d'alarme poussés par les spécialistes américains de la défense à l'annonce faite par la Chine selon laquelle celle-ci se préparait à construire un 2e porte-avions, destiné à compléter le vieux bâtiment déjà en service, reconditionné à partir d'un PA datant de l'ex URSS et fourni par la Russie.

Sources

* http://www.navy.mil/maritime/MaritimeStrategy.pdf

Voir aussi Wikipedia http://en.wikipedia.org/wiki/A_Cooperative_Strategy_for_21st_Century_Seapower

* Sur le nouveau porte avions chinois, lire

http://www.spacewar.com/reports/China_building_second_aircraft_carrier_PLA_colonel_999.html

mardi, 17 mars 2015

Nouvelle importance de la Mongolie

mong7735760.jpg

Nouvelle importance de la Mongolie

par Jean-Paul Baquiast
Ex: http://www.europesolidaire.eu
 
Du grand Empire Mongol qui pendant des siècles avait fait trembler ou rêver l'Asie et l'Europe, reste aujourd'hui la Mongolie, dite encore parfois Mongolie Extérieure, à qui l'on n'attribue généralement pas un grand poids géopolitique.
 
Le ministère français des affaires étrangères, quant à lui, dans ses « Conseils aux voyageurs », n'en donne pas une description très attrayante: « Pour tout déplacement en Mongolie, pays très étendu (trois fois la France) et faiblement peuplé (2,75 millions d'habitants), il est impératif de disposer d'un excellent contrat d'assurance maladie/rapatriement couvrant la totalité du séjour mongol et de vérifier si la compagnie d'assurance choisie dispose de correspondants administratifs et médicaux en Mongolie.I l est également indispensable de se munir des coordonnées précises de ces correspondants avant d'entreprendre le voyage, et de les conserver avec soi durant tout le séjour. » Il est vrai que se perdre dans le désert de Gobi peut légitimement faire peur.

Mais il s'agit d'une erreur. Aujourd'hui la Mongolie joue dans le monde un rôle important. Elle le doit d'abord à sa situation géographique qui la place au coeur de l'Asie, entre la Russie et la Chine et qui fait d'elle un point de passage essentiel pour les routes commerciales terrestres entre l'Europe et l'Asie-Pacifique. Elle dispose aussi d'importantes réserves minérales aujourd'hui considérées comme rares, cuivre, molybdène, étain, tungstène et or notamment.

Mais elle doit également ce rôle à ce qu'elle a nommé la « third neighbour approach diplomacy». Ce terme désigne la volonté du pays de ne pas se limiter aux relations avec ses deux grands voisins, Chine et Russie, mais de rechercher des relations de bon voisinage avec des pays plus éloignés, Japon, Corée du Sud et Etats-Unis notamment. Pour le moment, il faut bien remarquer que l'Europe ne figure pas dans la priorité des « troisièmes voisins » à fréquenter.

Aussi ouverte en théorie que soit la diplomatie mongole, elle a toujours refusé de s'inclure dans des alliances, militaires ou économiques, qui seraient dirigées contre la Chine et la Russie. Ceci n'a pas été cependant sans que les Etats-Unis s'y essayent à plusieurs reprises, ayant proposé à la Mongolie de créer sur son territoire un réseau de bases militaires analogue à celui mis en place dans une Europe plus docile.

La Mongolie a cependant accepté de participer aux côtés des Etats-Unis aux guerres menées par ces derniers en Afghanistan et en Irak. De même ses experts militaires se joignent depuis 2006 à des manoeuvres communes dites « Khaan Quest » . Il existe dans la capitale, Oulan Bator, un centre dit d' « entrainement au maintien de la paix » ( Regional Peacekeeping Training Center ) financé par l'Amérique, dont le nom est tout un programme. En avril 2014, le secrétaire à la défense de l'époque, Chuck Hagel, avait déclaré que la Mongolie était pour l'Amérique un « partenaire stratégique ». Sur le plan économique, le gouvernement américian veille soigneusement à préserver les positions des deux principales entreprises minières anglo-américaines, American Peabody Energy Corporation et Rio Tinto Ltd.

Tout ceci n'est pas sans inquiéter la Chine, car fidèle à sa politique de « défense des droits de l'homme et de la démocratie», la diplomatie américaine et ses services secrets ne cessent de susciter un sentiment anti-chinois dans la région autonome voisine de la Mongolie dite Uyghur Autonomous Region of the People's Republic of China (XUAR), laquelle abrite 9 millions de musulmans dont certains sont de plus en plus tentés par l'indépendance, quand ils ne fomentent pas en Chine même des attentats au nom d'un nouveau djihad à la mode asiatique.

monghhhhh.jpg

La Mongolie et le BRICS

Pour rééquilibrer les rapports de force, la Mongolie a décidé de renforcer ses relations avec la Russie. Ceci prendra une nouvelle actualité avec la mise en place des coopérations stratégiques et éventuellement militaires développées à l'initiative de cette dernière au sein du BRICS et de l'Organisation de Coopération de Shanghai (SCO). Dans ce cadre, à la suite d'une visite en début d'année du vice président de la Douma Sergei Naryshkin, la Mongolie a exprimé le désir que se mette en place à travers son territoire des branches terrestres de la Nouvelle Route de la Soie, décidée par la Chine et soutenue par la Russie. Il s'agira de construire des voies ferrées et des autoroutes, ainsi que des pipe-lines pour le gaz et le pétrole venant de Russie. Ce projet s'appellera « Route de la Steppe ». Il complétera la Route de la Soie et devrait permettre de développer une zone économique active. La Mongolie sera présente à la prochaine réunion du BRICS à Ufa et devrait devenir membre observateur au sein de la SCO

Dans l'immédiat, contrairement à la volonté (honteuse) de non participation de ses homologues européens à la commémoration organisée en mai 2015 pour célébrer le 70e anniversaire de la victoire de l'URSS dans la Grande guerre patriotique, le président de la Mongolie Tsakhiagiin Elbegdorj sera présent au premier rang. Il aura l'occasion d'y rencontrer Vladimir Poutine, sans mentionner d'autres rencontres également envisagées.

Rappelons une nouvelle fois ici que si l'Europe n'avait pas sur ordre de Washington, décidé de refuser pour le moment toutes les coopérations stratégiques dites euroBRICS, elle aurait pu reprendre un peu d'influence dans une partie du monde où elle est devenue pratiquement invisible.

Notes

* Empire Mongol. Wikipedia

* Mongolie Wikipedia

Jean Paul Baquiast

El 'Altyn', ¿un 'euro' para Eurasia?

 

Ex: http://www.elespiadigital.com

Una Zona Monetaria Común dentro de la Unión Económica Euroasiática (UEE) haría que la unión fuese aún más estable y económicamente atractiva, según un grupo de expertos citados por RIA Novosti.

La viabilidad de una moneda común para la unión compuesta por Rusia, Bielorrusia, Kazajistán y Armenia está siendo analizada por el Banco Central de Rusia en colaboración con el Gobierno, a instancias del presidente ruso, Vladímir Putin.

Se estima que el 1 de septiembre de este año estará listo el análisis para determinar si la unión monetaria en la UEE es un proyecto viable.

El año pasado en Kazajistán fueron firmados los documentos que prevén la creación para 2025 del Banco Euroasiático y la creación de una moneda única para Bielorrusia, Rusia y Kazajistán. "La situación política exterior puede haber influido en las decisiones económicas, y el presidente de Rusia ha decidido acelerar este proceso", señala el director del departamento de análisis de la empresa de servicios financieros Alpari, Alexander Razuvaev.

El experto asegura que la nueva moneda "puede entrar en vigor el 1 de enero de 2016", argumentando que "la política controla la economía". Sin embargo, hay quienes opinan que la transición debe hacerse de manera más pausada.

Un 'altyn' para Eurasia

La denominación provisional de la moneda única de Eurasia es 'altyn' (una moneda usada históricamente en Rusia y en varios países de la región), nombre que fue evocado en público por el presidente de Kazajistán, Nursultan Nazarbayev. Sin embargo, según algunos medios de comunicación también se estaría discutiendo el nombre de 'euraz'.

El Banco Central de la UEE, que se encargará de supervisar la política monetaria única, estará ubicado en Alma-Ata, antigua capital kazaja. "Solo que no será un análogo del Banco Central Europeo. Probablemente las decisiones serán tomadas de manera unánime por los jefes de Estado o por las directivas de los Bancos Nacionales de los países miembro", dice Razuvaev.

Se estima que la moneda única sea similar al rublo ruso y se sustente en las exportaciones de materias primas de Rusia y Kazajstán. El mercado potencial de circulación ronda los 180 millones de personas, sumando un volumen total del PIB de más de 2 billones de dólares.

Un paso lógico

Por un lado, la introducción de la moneda única en la UEE es un paso lógico en el marco de la coordinación económica, sostienen los expertos. "La moneda única es la última etapa de la integración monetaria", explica el director del Centro de Estudios de Integración del Banco Euroasiático de Desarrollo, Yevgeni Vinokurov.

La unión monetaria puede tener un impacto positivo en el desarrollo del mercado común en el marco de la UEE, tanto en términos de evitar el impacto de las fluctuaciones de las monedas de los países participantes, como también de la simplificación de los cálculos internos, dijo a RIA Novosti el director general del Centro de Comercio Internacional Vladímir Salamatov.

Según Vinokurov, las monedas de la UEE dependen de facto y en gran medida del rublo ruso. "Esta es, en nuestra opinión, una razón más para considerar la integración. Ya que, de todas formas, la tasa de cambio de sus monedas se basará en el rublo", explica. Y concluye preguntándose: "¿no será mejor hacer este mecanismo claro y ajustable?".

Periodo de configuración

La introducción de una moneda única no se puede hacer de la noche a la mañana. "Necesitamos un período suficientemente largo de ajuste. Se trata de coordinar las políticas monetarias y cambiarias, y de la coordinación mutua de las tasas de cambio de las monedas nacionales", agrega Vinokourov.

Una condición importante para el buen funcionamiento de la unión monetaria es una coordinación fiscal (en términos de legislación fiscal). Solo después de eso será posible la introducción de una moneda única y un único centro de emisión, resalta el experto.

La ministra para la Integración y la Macroeconomía de la UEE, Tatiana Válovaya, hizo un llamamiento este martes a los países miembros a no apresurarse, afirmando que primero es necesario crear un mercado único y luego hablar de la posibilidad de una moneda única. "Pero es necesario coordinar la política monetaria", concluyó.

Economistas: El mundo está al borde de una crisis monetaria sin precedentes

El fortalecimiento del dólar estadounidense, la "muerte" del euro y 74 billones de dólares en derivados sobre divisas, todo eso puede provocar la mayor crisis monetaria, advierten expertos.

El economista Michael Snyder opina que el fortalecimiento del dólar que se observa estas semanas "no es una buena noticia".

"Un dólar fuerte perjudica a las exportaciones estadounidenses, dañando así la economía del país. Además, la debilidad del dólar ha impulsado una fuerte expansión de los mercados emergentes de todo el mundo. Mientras el dólar se fortalece, se hace mucho más difícil para los países pedir prestado y pagar las deudas viejas", escribió en su artículo en el portal Infowars.

Por otra parte está el euro, que se encamina hacia mínimos históricos. La moneda europea se acerca a la paridad con el dólar y "finalmente caerá bajó el dólar", cree Snyder.

"Esto va a causar un gran dolor de cabeza en el mundo financiero. Los europeos tratan de resolver sus problemas económicos mediante la creación de enormes cantidades de dinero nuevo. Es la versión europea de la flexibilización cuantitativa, pero tiene efectos secundarios muy negativos", advierte el economista.

mercosur-Euroasiatica.jpg

Análisis: Cómo el Mercosur y la Unión Euroasiática desafían a Estados Unidos y la hegemonía del dólar

Por Ariel Noyola Rodríguez

Las estrategias de contención económica promovidas por Washington en contra de Moscú y Caracas precipitaron la reconfiguración de alianzas en el sistema mundial. Es que aunque Rusia se localice geográficamente en el norte del hemisferio, su agenda diplomática guarda una mayor vinculación con las economías emergentes. Lo mismo sucede en relación a los países de América Latina, la región que de acuerdo con el canciller de Rusia, Serguéi Lavrov, está llamada a convertirse en un pilar clave en la construcción de un orden mundial multipolar.

Sin lugar a dudas, los nexos de Rusia con la región latinoamericana se profundizan de manera acelerada. Según la base de datos sobre comercio de mercancías de las Naciones Unidas (UN Comtrade, por sus siglas en inglés), los intercambios entre Moscú y América Latina alcanzaron una cifra récord de 18.832 millones de dólares en 2013, un monto 3 veces mayor en relación a 2004 (Brasil, Venezuela, Argentina, México y Ecuador son los 5 socios más importantes del oso ruso en América Latina).

Hay complementariedad económica en lo fundamental. Las exportaciones de Rusia hacia América Latina están concentradas en más de 50% en fertilizantes, minerales y combustibles. En tanto Moscú compra a los países latinoamericanos básicamente productos agrícolas, carnes y componentes electrónicos. De acuerdo con las proyecciones elaboradas por el Instituto de Latinoamérica de la Academia de Ciencias de Rusia, el comercio bilateral alcanzará los 100.000 millones de dólares el año 2030, un aumento de más de 500%.

Sin embargo, también hay múltiples desafíos en el horizonte. El contexto recesivo de la economía mundial, la tendencia deflacionaria (caída de precios) en el mercado de materias primas (en especial el petróleo), la desaceleración del continente asiático y las sanciones económicas impuestas por Estados Unidos y la Unión Europea, revelan la urgente necesidad de elevar los términos de la relación diplomática entre Rusia y los países latinoamericanos.

Como efecto de la caída del comercio entre Rusia y la Unión Europea, América Latina emerge de alguna manera como mercado sustituto y, al mismo tiempo, en calidad de receptora de inversiones de alta tecnología. En ese sentido, hay que destacar los proyectos de inversión del Consorcio Petrolero Nacional (conformado por Rosneft, Gazprom Neft, LUKoil, TNK-BP y Surgutneftegas) comprometidos con empresas de Brasil, Argentina, Venezuela, Guyana y Cuba, entre otros países.

Por añadidura, existe un amplio abanico de posibilidades para la construcción de alianzas científico-tecnológicas que por un lado, promuevan el desarrollo industrial de la región latinoamericana y, por otro lado, contribuyan a diversificar las exportaciones de Moscú, actualmente concentradas en los hidrocarburos.

El largo estancamiento de la actividad económica mundial, así como el aumento de la conflictividad interestatal por garantizar el suministro de materias primas fundamentales (petróleo, gas, metales, minerales, tierras raras, etcétera.) para la reproducción de capital, promueven la construcción de alianzas estratégicas a través de acuerdos de comercio preferenciales, inversiones conjuntas en el sector energético, transferencias tecnológicas, cooperación técnico-militar, etcétera.

Bajo esa misma perspectiva, la relación estratégica que Rusia mantiene con varios países latinoamericanos en el plano bilateral (Argentina, Brasil, Cuba, Ecuador, Nicaragua, Venezuela, etcétera.), busca ampliarse en la región sudamericana a través la Unión Euroasiática (conformada por Rusia, Bielorrusia, Kazajistán, Armenia y Kirguistán) como punta de lanza.

Es que si bien el presidente Vladimir Putin planteó en 2011 (en un artículo publicado en el periódico 'Izvestia') convertir la Unión Euroasiática en un mecanismo puente entre la región Asia-Pacífico y la Unión Europea, el cerco impuesto en contra de la Federación Rusa por la Organización del Tratado del Atlántico Norte (OTAN) canceló temporalmente esa posibilidad.

En consecuencia, la Unión Euroasiática rompe sus límites continentales a través de la creación de zonas de libre comercio con China en el continente asiático, Egipto en el Norte de África y el Mercado Común del Sur (Mercosur, conformado por Argentina, Brasil, Paraguay, Uruguay y Venezuela) en América Latina.

En los últimos años, la relación estratégica entre la Unión Euroasiática y el Mercosur representa la mayor apuesta de Rusia en la región sudamericana en materia de integración regional: ambos bloques poseen una extensión territorial de 33 millones de kilómetros cuadrados, una población de 450 millones de habitantes y un PIB combinado por encima de los 8,5 billones de dólares (11.6% del PIB mundial medido en términos nominales). La relación estratégica persigue dos objetivos generales. En primer lugar, disminuir la presencia de Estados Unidos y la Unión Europea en los flujos de comercio e inversión extrarregionales. Y en segundo lugar, acelerar el proceso de desdolarización global a través del uso de monedas nacionales como medios de liquidación.

La construcción de un sistema de pagos alternativo a la Sociedad para las Comunicaciones Interbancarias y Financieras Internacionales (SWIFT, por sus siglas en inglés) por parte de Rusia (China anunció recientemente el lanzamiento de un sistema de pagos propio, mismo que podría comenzar a funcionar el próximo mes de septiembre), así como la experiencia de América Latina sobre el Sistema Único de Compensación Regional (SUCRE) para amortiguar los shocks externos sobre el conjunto de la región, son evidencia del creciente protagonismo de ambas partes en la creación de instituciones y nuevos mecanismos financieros que abandonan la órbita del dólar.

Es indudable, frente a la embestida económica y geopolítica emprendida por el imperialismo norteamericano, que las economías emergentes eluden confrontaciones directas a través de la regionalización. De manera sucinta, la Unión Euroasiática y el Mercosur deberán enfocar sus esfuerzos hacia una mayor cooperación financiera y en paralelo, articular un frente común en defensa de la soberanía nacional y los principios del derecho internacional.

En conclusión, la relación estratégica entre la Unión Euroasiática y el Mercosur tiene una enorme oportunidad para presentar ante el mundo parte de la exitosa respuesta de ambos bloques a la profundización de la crisis económica actualmente en curso y, con ello, contribuir de manera decisiva a debilitar los cimientos de la hegemonía del dólar.

Une Alliance stratégique Iran/Russie/Egypte est-elle possible?

eg180736346.jpg

Une Alliance stratégique Iran/Russie/Egypte est-elle possible?

Ex: http://nationalemancipe.blogspot.com
 
Les crises régionales ont élargi la convergence politique Téhéran-Moscou, ce qui a amené un pays, comme l'Egypte, à être convergent avec l'Iran et la Russie, au sujet des dossiers régionaux. Le ministre russe de la Défense s'est rendu, du 19 au 21 janvier, à Téhéran, où il a rencontré ses pairs iraniens, et signé avec eux un accord, qui prévoit d'accroître la coopération militaire et défensive entre l'Iran et la Russie.
 
Dans un article, le Centre des études arabes et des recherches politiques a procédé à un décryptage de cette visite, première du genre, depuis 2002. Dans son analyse, ce Centre évoque la signature de cet accord de coopération entre l'Iran et la Russie, dans les domaines de la formation, de l'exécution des manœuvres, et écrit : les médias iraniens et russes ont qualifié cette visite de très importante, dans leurs estimations, et ont souligné que cette visite sera un point de départ, pour la constitution d'une alliance stratégique entre l'Iran et la Russie. Ces médias ont indiqué que Moscou avait signé avec l'Iran le contrat de la vente à Téhéran des missiles S-300, d'avions de combat de type "Soukhoï", "Mig-30", "Soukhoï 24", ainsi que des pièces détachées nécessaires. La récente visite, en Iran, du ministre russe de la Défense semble être considérée comme stratégique, car elle sert les intérêts des deux parties, les deux pays étant exposés aux pressions de l'Occident, l'Iran, pour son programme nucléaire, et la Russie, en raison de la crise d'Ukraine.

 Cependant, certains analystes ne sont pas aussi optimistes, quant à ces accords, et disent qu'ils ne sont pas le signe d'un changement stratégique, dans les relations Téhéran-Moscou, car la Russie n'a rien fait, pour empêcher l'adoption, par l'Occident, des sanctions contre l'Iran, et a, d'ailleurs voté, toutes les résolutions anti-iraniennes, adoptées par le Conseil de Sécurité de l'ONU. La Russie a exprimé son mécontentement des pourparlers Iran/Etats-Unis, à Oman, sans l'invitation faite à ce pays d'y assister. En plus, en 2010, la Russie a refusé d'honorer ses engagements, pour vendre le système de défense anti-aérienne S-300, dans le cadre d'un contrat, signé avec l'Iran, d'un montant de 800 millions de dollars. 
 
La Russie a achevé la centrale atomique de Boushehr, avec un retard de dix ans. De plus, les Russes ne voient pas d'un bon œil le programme nucléaire iranien, et c'est pour cela qu'ils se sont rapprochés, à cet égard, des Occidentaux. A cela, s'ajoute le fait que les Russes sont inquiets de l'accès à un accord entre l'Iran et l'Occident, car un tel accord permettra à l'Occident de s'approvisionner en énergie, auprès de l'Iran, et mettre, ainsi, fin à sa dépendance énergétique vis-à-vis de la Russie. 
 

ruiranic6408977_0.jpg

 
Cela étant dit, il y a de nombreux intérêts communs entre les deux pays, surtout, en ce qui concerne les dossiers régionaux, des intérêts communs, qui l'emportent sur les hésitations, les doutes et les divergences. A ce propos, le Directeur du Centre d'études et d'analyses stratégiques de Russie dit : «A l'instar de la Russie, l'Iran est opposé à la croissance et à la montée en puissance des groupes takfiris extrémistes, au Moyen-Orient. Affectés par la baisse du prix du pétrole, les deux pays réclament la hausse du prix du pétrole. 
En outre, les deux pays se trouvent, dans des positions similaires, dues aux sanctions, appliquées à leur encontre, par l'Occident. L'Iran et la Russie s'accordent, unanimement, à soutenir le gouvernement de Bachar al-Assad, en Syrie, et à freiner la montée en puissance et la croissance des groupes terroristes takfiris et extrémistes, comme «Daesh». Les deux pays sont d'avis que la montée en puissance d'un tel groupe et des groupes similaires, représente un défi important, pour leur politique régionale et internationale, ainsi que pour leurs intérêts nationaux.
 
 Mais cela ne s'arrête pas là. Les deux pays sont parvenus, récemment, à une autre convergence, sur le plan régional, qui est celle liée au dossier du Yémen, à telle enseigne, que Moscou, comme Téhéran, ont annoncé leur soutien au mouvement d'Ansarallah. Moscou est persuadée que le soutien au Mouvement d'Ansarallah fournira à ce pays la possibilité de reprendre ses chaleureuses et amicales relations avec le Yémen, qui marquaient les années de la guerre froide. Mais la raison la plus importante, qui conduit à cette convergence Téhéran/ Moscou, c'est leur position unie, face à l'Arabie Saoudite. Ils veulent mettre sous pression l'Arabie Saoudite, sur le plan régional, notamment, au Yémen. Depuis novembre, l'Arabie a abaissé le prix du pétrole, pour s'aligner sur les Etats-Unis, en vue d'exercer des pressions sur l'Iran et la Russie. En guise de réaction, la Russie a soutenu le Mouvement d'Ansarallah, qui fait partie de l'axe chiite, dans la région. Cet axe est considéré, actuellement, comme le plus important allié de Moscou, dans la région, pour faire face aux pays, tels que l'Arabie saoudite et aux groupes terroristes, comme «Al-Qaïda», en général, dans la région, et, en particulier, au Yémen.
 
 La Russie a tout fait, au Conseil de sécurité de l'ONU, pour l'empêcher de déclarer, comme étant illégaux, les développements, survenus au Yémen, pour justifier, ainsi, le recours à la force, afin de réprimer les révolutionnaires. Parallèlement à l'accroissement de la coordination et de la convergence politique entre l'Iran et la Russie envers des dossiers régionaux, dont le Yémen et la Syrie, le changement de position de l'Egypte envers la crise syrienne a suscité l'étonnement de beaucoup de gens. Cela a montré que le Caire s'inquiète, grandement, de la croissance et de la montée en puissance des groupes et courants salafistes et takfiris extrémistes. D'où sa position convergente avec celle de l'Iran et de la Russie sur la Syrie. Cette convergence politique du Caire avec Téhéran et Moscou ne se borne pas au dossier syrien, car elle s'est élargie aux évolutions yéménites, car l'Egypte ne voit pas dans la montée en puissance d'Ansarallah, au Yémen, une menace contre sa sécurité nationale.

samedi, 14 mars 2015

El futuro de Eurasia: prolegómenos para la integración geopolítica del continente


Por Leonid Savin

Ex: http://www.elespiadigital.com

El comienzo del siglo XXI no ha sido tan color de rosa como fue descrito por los futurólogos y planificado por los políticos: una crisis financiera mundial, los problemas dentro de la zona euro, el “pantano” para las tropas estadounidenses en Irak y Afganistán, los conflictos armados en Europa Central, Norte de África y el Medio Oriente, una serie de revoluciones de color en el espacio post-soviético, y disturbios en las capitales de Europa Occidental. Se diría que con la tecnología moderna, la herencia histórica y el acuerdo convencional sobre los derechos humanos, Europa ya ha definido su futuro y, si no está siguiendo lo planificado, por lo menos está manteniendo las políticas regulatorias en el ámbito de su competencia. Sin embargo, los desarrollos actuales indican que todo resultó ser más complicado. El mundo ha entrado en una zona de turbulencia geopolítica, con procesos en varios niveles, nuevos retos y respuestas asimétricas.

Además de la vieja dicotomía entre conservadores y progresistas, surgen en Europa nuevas tendencias políticas que intentan repensar su europeidad y priorizar el futuro desarrollo y la supervivencia. Variantes en relación al tema del futuro de la OTAN y la planificación de la defensa conjunta con los EEUU, fluyen desde cumbres marginales y anti-globalización como desde un fondo político intelectual, lo que demuestra la inutilidad de ejecutar la política de antiguos vectores.

La situación es tal que el debate contemporáneo en torno al futuro de Europa, el destino de Rusia y de otros países del continente, no puede considerarse por separado. De la investigación etimológica al replanteamiento pragmático del viejo Lebensraum (incluyendo la dependencia de recursos) – de una forma u otra, la superpoblada orilla de Eurasia desde Gibraltar hasta el mar de Barents está volviendo su mirada hacia el Este.

En cierta época, los conceptos de “Europa” y “Asia” se limitaron al mundo helenístico y a los países vecinos, dentro de un paradigma que asignó significados particulares. La expansión del Imperio Romano, la era de la gran migración y la difusión del cristianismo, cambiaron la estructura política de la parte occidental del continente euroasiático. Mientras esta región se sumergió en un frenesí feudal, un nuevo imperio se formó en las fronteras orientales. La Horda de Genghis Khan logró en un tiempo extraordinariamente corto unir por la fuerza kanatos, reinos y principados, extendiéndose a través de miles de kilómetros, mostrando un nuevo modelo de Estado, de diplomacia y de tácticas militares. La importancia histórica del proyecto mongol es simplemente asombrosa. Nadie más, ni antes ni después, fue capaz de crear tal vasto Imperio. Mientras tanto, hay claros marcadores geopolíticos de este fenómeno. Historiadores europeos modernos han señalado que la Rus había frustrado la oleada de nómadas de Asia hacia Occidente, salvando así a Europa de una inminente desaparición. Interpretaciones completamente diferentes se expresaron en relación con el destino de Rusia. Aunque la escuela soviética de pensamiento insistió en la existencia del yugo mongol-tártaro, la escuela histórico-filosófica euroasianista refuta tales supuestos, con el apoyo de elementos de hecho. De acuerdo con la teoría del cambio de los imperios, la Rus tomó la batuta de las hordas ya fragmentadas, en gran medida tomando prestados sus mecanismos de construcción del Estado, necesario para una mayor expansión.

Aunque anteriormente hubiera “campañas contra los cismáticos” y otros obstáculos (como en todas partes), la primera confrontación total de Oriente y Occidente comenzó con la “era de Gutenberg” [1]. La imprenta, originalmente concebida con el fin de ayudar a difundir la Palabra de Dios, no sólo dio lugar a un efecto contrario (porque la difusión de la Biblia socavó la autoridad de la Iglesia Católica), sino también a la aparición de las primeras instituciones de la guerra de la información. Mientras que las primeras embajadas de Europa occidental viajaron para comerciar con Moscú, la población local fue sometida a un adoctrinamiento, recurriendo a las metáforas del Antiguo testamento y creando una imagen poco favorecedora de los gobernantes de Rusia y de su pueblo.

Sin embargo, la primera ola de globalización que termina con el descubrimiento de América, apareció como el comienzo de una nueva era global. Al mismo tiempo, Europa, desgarrada por guerras y contradicciones, trasladó parte de su teatro de operaciones de combate a los territorios de los nuevos espacios abiertos, inaugurando así el comienzo de nuevos procesos civilizatorios.

Todavía había muchos episodios de comprensión mutua entre Rusia y Europa en una serie de cuestiones, sin embargo, con el inicio del siglo XX, la modernidad alcanzó todo su potencial, y tres ideologías principales saltaron a la arena: el marxismo con el postulado de la la lucha de clases; el corporativismo estatal con una perspectiva nacional, que se convirtió en el nacionalsocialismo y el fascismo; y el liberalismo. Las tres tendencias ideológicas no eran ajenas a las cuestiones territoriales, nacionales y de recursos, pero parece que la escuela geopolítica anglosajona deliberadamente ha demonizado a Rusia. Ellos hicieron de Rusia, conceptualmente, no sólo un Heartland, sino también una fuente de inestabilidad, de donde se originó el “tierra de vándalos” a imagen de los hunos, los turcos y los mongoles, que atacaron los alrededores del mundo romano [2]. A estas alturas, con la memoria histórica ya debilitada, después del colapso del Imperio Austro-Húngaro pocos estuvieron interesados en la historia del pueblo húngaro, que venía desde más allá de los Urales, y otros temas fueron pasados por alto. ¿Quién recuerda ahora a los ávaros, que una vez penetraron en el territorio de la actual Alemania y, de hecho, crearon Baviera (y ahora el tipo antropológico de la población de esta tierra federal es marcadamente diferente del de los sajones o de Westfalia), o de los eslavos, presidiendo el área del actual Berlín? ¿Y recuerdan en los círculos políticos polacos las ideas de un destacado dramaturgo y escritor, Stanisław Witkiewicz, quien en la década de 1930 expresó en su metáfora artística la ansiedad asociada a la amenaza de la migración desde China? [3]

Aunque estas observaciones pueden parecer insignificantes, son todos eslabones de una cultura estratégica de uno u otro estado con su pueblo, de alguna manera realizados en la geopolítica popular.

Turquificar Alemania, africanizar Francia, indianizar el Reino Unido, magrebizar Italia y España, y un número aún no determinado de chinos, vietnamitas y otras diásporas asiáticas en cada país de la UE, en la dinámica geopolítica, puede conducir a resultados muy impredecibles [4]. Mas la rápida islamización de los países europeos en el contexto de un declive demográfico de la población nativa. El estado de ánimo actual en algunos países de la UE, en particular entre los nuevos miembros, muestra claramente que a la gente no le gustan los proyectos de etno-globalización en su tierra natal, al menos en su forma presente [5]. Característicamente, el principal vector de la migración actual pasa por el eje Norte-Sur, no por el eje Este-Oeste, donde la frontera sanitaria artificial todavía juega el papel de parachoques disuasorio.

La guerra fría no sólo condujo a la división en dos bandos, sino también a la aparición de una nueva terminología. En Occidente hay una cristalización final de la filosofía política, conocida como atlantismo. Un político británico, John Williams, amplía este término calificándolo como teología atlantista [6]. Afirma que, como cualquier teología, el atlantismo se basa en el mito de que, en última instancia, los intereses geopolíticos y geoestratégicos de Europa y Estados Unidos son inseparables. Al mismo tiempo, Williams cree que las relaciones entre los EEUU, Europa y Rusia durante la Guerra Fría son también otro mito, que se tradujo en una crisis de identidad propia.

La sustitución por el neo-atlantismo (el neologismo nació en Italia en la década de 1950) [7] como definición de las nuevas relaciones entre los miembros de la comunidad atlántica, tampoco duró mucho y está perdiendo rápidamente su sustancia interna. Así como con las instituciones de la democracia, resulta obvio que va a declinar. En este sentido, cabe señalar que el término “déficit democrático” ha surgido en Europa en 1977 para definir la incapacidad de los países miembros de la UE para abordar las cuestiones relacionadas con las necesidades de los ciudadanos europeos [8].

En este contexto, viendo a los Estados Unidos como su sucesor geopolítico, la Europa unida debe reconocer que no estaba en condiciones de hacer frente al programa de “Melting Pot“, y digerir todos los inmigrantes de sus antiguas colonias, junto con la nueva fuerza laboral de la migración continua.

El cuadro de la Europa pos-Guerra Fría fue transformado por la admisión de nuevos miembros en la UE. El factor mar Báltico-Negro fue añadido al factor dominante Atlántico-Mediterráneo, y los países de esta región se vieron obligados a enfrentarse a una serie de cuestiones: la adaptación del sistema jurídico, las instituciones políticas y civiles, la economía; tratando de preservar su memoria y sus tradiciones históricas nacionales al mismo tiempo. Junto con esta expansión geográfica fue posible la aparición de un discurso sobre el nuevo eje geopolítico, en cierta medida compitiendo con el viejo eje [9]. La cuestión de la centralidad para definir la nueva Europa (el término de Friedrich Naumann “Middle Europa“) también siguió siendo reinterpretada. Se propusieron definiciones tales como “MidiEurope“, “Dimidial Europa” y “Viscalian Europa“, que se basan en los términos latinos correspondientes [10]. Éstas definiciones se superponen con los conceptos existentes de Euroregiones, basados en el modelo de cuenca (el área de las cuencas del Mosa-Rin, las tierras bajas del Danubio). Una escuela geopolítica alemana sobre Eurafrica sonó de nuevo, sin embargo, bajo la influencia de los intereses franceses – creando así el fantasma de la Unión Mediterránea, que no pudo llegar a buen puerto debido al bloqueo alemán a la posibilidad de este proyecto. Del mismo modo, en las nuevas versiones posmodernas y tecno-políticas (con la energía y el componente de la comunicación) fue revivido el proyecto de Mezhmorye (“entre los mares” Báltico y Negro), del geógrafo y cartógrafo polaco Eugeniusz Romer, el prototipo que a su vez sirvió para la idea de Jagiellonian (Gran Lituania). Junto con los atractivos respecto a la comunicación (la adaptación de la ruta “desde los varegos a los griegos” en un nuevo guión), este modelo geopolítico tuvo un componente étnico-nacional, se asumió que la identidad cultural báltico-eslava serviría como una base adicional para la ejecución de este proyecto. Pero las preguntas acerca de la pertenencia a un tipo de civilización [11], a veces llamada el mundo occidental-cristiano o el super-ethnos europeo-occidental, condujo al descubrimiento de algunas contradicciones profundamente arraigadas en función de factores históricos o etno-políticos, que también tienen un componente pragmático que se expresa en la estructura de las fronteras y los puntos de vista sobre la asignación de los recursos. Frente la presión de los antiguos miembros de la UE para la homogeneización del espacio económico, que se refleja sobre todo en el hecho de que las empresas transnacionales han tenido acceso a los recursos nacionales, los Estados del eje mar Báltico-Negro estaban interesados en medidas proteccionistas contra un efecto tan unilateral de globalización.

carte426896.jpg

 

Podemos decir que los intentos iniciales para establecer una Unión de cooperación regional, junto con los componentes históricos, hasta cierto punto han servido como base para la remodelación de este proyecto en un plano estratégico diferente, más amplio, que afecta a los intereses de las grandes potencias – continental (Euroasiática) y atlantista (mundialista). No es casualidad que cierto número de investigadores comenzaran a comparar el modelo del eje mar Báltico-Negro con una frontera sanitaria, como la que se formó después del Tratado de Versalles al final de la Primera Guerra Mundial. Un proyecto geopolítico, indirectamente asociado con tales ideas, llamado GUUAM (Georgia, Ucrania, Uzbekistán, Azerbaiyán y Moldavia), que no tuvo ningún verdadero desarrollo y fue concebido como un proyecto de los países occidentales (incluyendo los EEUU) para crear una barrera artificial entre la Rusia moderna y la UE.

Podemos recordar otra serie de proyectos, ni siquiera realizados, como Chimerica o Сhindia, pero a juzgar por la posición de la futura integración de Rusia y Europa, que en teoría es el proyecto más grande e importante que podría cambiar el orden mundial, es necesario hacer algunas observaciones preliminares. La alianza llamada Eurosiberia ya era considerada como una opción de futuro. La necesidad de convergencia fue destacada por Jean Thiriart, quien soñaba con un imperio desde Dublín hasta Vladivostok (no obstante, prediciendo la caída de la URSS).

Los opositores intransigentes a la amistad y la cooperación con Rusia apuntan a los precedentes históricos y a la imprevisibilidad del gobierno ruso. En realidad, Europa vió muchos más conflictos históricos. Incluso después de los Acuerdos de Helsinki, una guerra civil estalló en el corazón mismo de Europa – la de Yugoslavia, que tuvo consecuencias de largo alcance, incluyendo el reconocimiento de Kosovo. El movimiento moderado de los secesionistas y el separatismo radical en España, el Reino Unido y Bélgica continúa hasta nuestros días. Y quien vigile de cerca la crónica de los acontecimientos internacionales, encontrará fácilmente que los EEUU es el más impredecible: la promesa de no ampliar la OTAN hacia el Este en la década de 1990 y de permanecer en Kirguistán sólo durante dos años en la base de Manas (y en muchas otras, incluso en los países de la UE), fueron promesas vacías. Y si en este tipo de cuestiones de principio no existe ninguna garantía de que Washington no vaya a engañar de nuevo, ¿cómo es posible además trabajar con un socio tan fiable?

Ahora estamos en el siguiente punto de bifurcación, cuando existe una oportunidad de hacer un breve alto en el camino y repensar los procesos asociados a los patrimonios territoriales, los estados nacionales, los agravios históricos, etc., para crear una nueva estrategia común, adecuada para todos los actores de Eurasia. Por supuesto, el término puede tener varios significados semánticos. Por ejemplo, la India, China y el sudeste asiático son aglomeraciones demasiado específicas incluso para las antiguas repúblicas soviéticas. Y los primeros euroasianistas imaginaron Eurasia como Rusia, y no como Europa más Asia, considerándolo un mundo único. Sin embargo, Eduard Suess, en su obra fundamental “The Face of the Earth” [12], utiliza el concepto de Eurasia apuntando la arbitrariedad de los límites entre Europa y Asia, y que las fronteras no son sólo una herramienta de separación, sino también un fenómeno social complejo que une a las naciones y a los pueblos.

Quizás muchos señalarán un tipo muy diferente de conciencia de los pueblos y países desde Chukotka hasta el Atlántico, pero ¿sobre qué base los pueblos de Europa construirán juntos una existencia colectiva si ya hay tantas contradicciones en la UE? En nuestra opinión, para crear una plataforma geopolítica compartida que pueda satisfacer a todos, o al menos a la mayoría de las fuerzas, los desacreditados conceptos de democracia y liberalismo, y el populismo social de izquierda de partidos y líderes particulares, que son una nueva versión de la consigna de los francmasones – “libertad, igualdad, fraternidad” -, son poco adecuados. ¿Qué nueva idea debería unir y satisfacer a todos los pueblos de Eurasia?

El fundador del movimiento eurasiático, el geógrafo Petr Savitsky, propuso un modelo de ideocracia que se caracteriza por una visión del mundo compartida, y por la buena voluntad de las élites gobernantes en servir a la única idea rectora que representa “el beneficio del colectivo de los pueblos que habitan este particular mundo autárquico”[13]. Esta es una muy buena definición, y si este mundo se interpreta como el espacio del continente euroasiático, hay muchos puntos en común y perspectivas para una realización creativa.

Además, el común destino continental es el elemento vinculante que apunta las condiciones geopolíticas comunes. No es coincidencia que Hitler tratara de llegar hasta los Urales, lo cual habla acerca de la integridad de la plataforma del Este europeo, no obstante, incluso los Urales no son ya una barrera, y el extremo Oriente está más “europeizado” que algunas ciudades en las inmediaciones de Moscú. Las comunicaciones modernas y los centros de transporte crearon un mosaico geopolítico polifacético de un mismo cuadro. Y si antes del siglo XX todavía era posible hablar de un “obstáculo eurasiático”, en referencia a la extensión de las tierras del Imperio Ruso, a las eternamente congeladas latitudes del norte, y a la carencia de acceso a los mares cálidos, separados por Persia y la India, ahora todo eso es facilitado por los proyectos de infraestructura de transportes, las nuevas tecnologías y la comprensión de los principios de autarquía económica propuestos por Friedrich List.

Hace mucho tiempo llegó un momento en el que, a partir de pequeños grupos construidos sobre el principio de la autosuficiencia, fue necesario trasladarse a las zonas de “topogénesis” (o el lugar de desarrollo, el término propuesto por Peter Savitsky para explicar el conjunto de factores geográficos, étnicos, económicos, históricos y otros, que representan un todo) [14], y Grandes Espacios de Carl Schmitt. Dado el sistema político internacional contemporáneo de múlti-capas y multi-nivel, tal proyecto es factible.

Si bien no vamos a hablar sobre el futuro de la política migratoria (aunque Rusia tiene una gran cantidad de territorios no desarrollados que, como antes, pueden ser poblados por extranjeros – Catalina la Grande dio tierra a los alemanes; los kurdos, los serbios y otros pueblos encontraron refugio en Rusia), este delicado asunto debería ser resuelto con cuidado y gradualmente.

Aún así, hay que sacar algunas conclusiones relacionadas con la posibilidad de crear una configuración supranacional unificada.

La UE debería reconocer su dependencia constante de los recursos energéticos rusos. El “North Stream” ya había conectado Rusia con Alemania. El “South Stream” finalmente cerrará la dirección del Mar Negro. Todos los pragmatistas entienden que la idea de “Nabucco” es desequilibrada y motivada políticamente. Las tecnologías verdes resuelven el problema sólo parcialmente. Además de la energía, hay otros recursos naturales, incluyendo el agua, los minerales, los bosques, etc. Rusia ocupa una sexta parte de la tierra y posee el máximo inventario de estos recursos. Por supuesto, con las políticas posmodernas actuales y los procesos de globalización, uno puede ser dueño de la tierra de manera extraterritorial, pero en el caso de Rusia, al menos en el corto plazo, eso no es posible. Sólo las inversiones mutuas y los proyectos de integración (comenzando con la cancelación del régimen de visados), pueden abrir el acceso real a la gestión de estos recursos en nombre de los intereses comunes.

Es una cuestión de voluntad política. Sólo los fuertes pueden crear una formación tan gigantesca. Hagamos que esto sea una voluntad colectiva, aunque debemos actuar con decisión y audacia. Llámelo una autodeterminación geopolítica de todos los participantes del proceso.

Es posible que, junto con los procesos globales, nuevos horizontes conducirán a la creación de una nueva clase (relativamente hablando), y darán lugar a la superación de la dicotomía derecha-izquierda en algunos sistemas políticos. En el período de entreguerras en Europa hubo intentos de poner en práctica iniciativas interesantes bautizadas como “la tercera vía”. Es posible que en el proceso de diseño político una nueva teoría política sea creada [15].

¿Cómo continuará la discusión política, social, económica, de defensa y sobre muchos otros temas? Sólo podemos decir que es necesario un “multiálogo” [16] como herramienta para la comunicación interestatal y para la comunicación internacional, en el proceso de producción de las normas y las instituciones necesarias.

A pesar del proceso de creación de la Unión Euroasiática, como Vladimir Putin dijo en octubre de 2011 hablando de la participación de la UE en la construcción de Eurasia, tal proyecto está aún, al margen del discurso de grupos intelectuales independientes, sólo en el esfera de la imaginación. Pero, como escribió un famoso teórico estadounidense del comunitarismo, Michael Walzer, incluso un estado es invisible, y para que aparezca, debe ser imaginado, debe dársele un carácter, y luego, personificarlo y hacerlo visible. La imaginación, según Albert Einstein, es mejor que el conocimiento, por lo tanto, la configuración emergente de Eurasia es el retorno de un sueño para todos los pueblos del continente, que serán capaces de poner en práctica gradualmente en la realidad. Y el conocimiento existente (incluyendo la experiencia negativa), y la tecnología deberían ser instrumentos para esta Gran Empresa Geopolítica.

Notas:

[1] Marshall McLuhan. The Gutenberg Galaxy. The Making of Typographic Man. University of Toronto Press, 1962.

[2] J. Mackinder Halford. The Geographical Pivot of History, Geographical Journal, London, 1904.

[3] Stanislaw Witkiewicz. Nienasycenie. Powiesc, t. 1-2, Warsz., 1957.

[4] La cuestión del etnocentrismo en un estado nacional, es decir, la división entre “nosotros” y “ellos”, se planteaba a menudo en el discurso ideológico, reflejándose, por ejemplo, en una “caza de brujas”, y en una política nacional. Sin embargo, incluso en una sociedad homogénea en términos culturales y étnicos, siempre habrá algunos mecanismos invisibles que empujan a la violencia mutua. El filósofo francés René Girard propone apartarse del modelo de “etnocentrismo” y buscar la causa dentro de la sociedad, que durante la historia del mundo siempre ha necesitado un chivo expiatorio. Para obtener más información, consulte René Girard. La violencia et le Sacre. Grasset y Fasquelle, 1972.

[5] La prueba de esto es el fracaso del proyecto de la multiculturalidad, lo que fue reconocido por Angela Merkel y Nicolas Sarkozy.

[6] John Williams, Atlanticism: The Achilles’ Heel of European Security, Self-Identity and Collective Will. http://www.redpepper.org.uk/atlanticism/

[7] Pietro Pirani. “The Way We Were”: Continuity and Change in Italian Political culture. 5, 2008. http://www.psa.ac.uk/journals/pdf/5/2008/Pirani.pdf

[8] Laffen, B. “Democracy and the European Union’, in Cram, L., Dinan, D. and Nugent, N. (eds.)

-Developments in the European Union, London: Macmillan Press Ltd., 1999, p. 334

[9] Leonid Savin. And the geopolitics of regional risks, Geopolitics No. 10

[10] Drynochkin A.V. Eastern Europe as an element of system of global markets. M: Olita, 2004. p. 11.

[11] Hay que señalar que no existe una clara interpretación del término “civilización”.

[12] Suess, Eduard. Das Antlitz der Erde. Wien, 1885.

[13] N.S. Trubetskoy. Acerca de la idea de un estado ideocrático, Eurasian chronicle. Issue XI. Paris, 1935. pp. 29-37.

[14] Peter Savitsky. The Continent Of Eurasia. – M.: Agraffe, 1997.

[15] Alain de Benoist propone llamar a una futura teoría que trascienda el marco del marxismo, el liberalismo y el fascismo, el Nuevo Nomos de la Tierra, y el profesor Alexander Dugin llama a tal ideología la Cuarta Teoría Política.

[16] Duke R. Gaming: The Future Language. N. Y.: Sage Publications, 1974.

(Traducción Página Transversal)

China en Rusland lanceren in herfst anti-dollar alliantie

country_currency_china.jpg

China en Rusland lanceren in herfst anti-dollar alliantie

Rusland blijft Amerikaanse staatsobligaties dumpen

Het Amerikaanse dollar imperium loop op zijn einde.

Inzet: Enorm reclamebord in Bangkok, waar de Bank of China adverteert met ‘RMB (renminbi): De Nieuwe Keus – De Wereld Munt.’

Het einde van het Amerikaanse dollar imperium is een grote stap dichterbij gekomen nu na Rusland ook China een alternatief lanceert voor het door Amerika gedomineerde wereldwijde SWIFT betalingssysteem. Rusland werd hiertoe gedwongen door de Westerse sancties in verband met de situatie in Oekraïne. China is er echter op uit om op termijn de dollar als wereld reservemunt van de troon te stoten, en adverteert daar zelfs openlijk mee (3). Als in september of oktober het Chinese alternatief van start gaat en een succes wordt, dan dreigt een spoedige instorting van de Verenigde Staten als supermacht.

De al jaren dreigende ontkoppeling van de opkomende BRICS-landen (Brazilië, Rusland, India, China,  Zuid Afrika) met de dollar wordt in het Westen nog altijd niet echt serieus genomen. Inmiddels blijkt dit proces al veel verder gevorderd te zijn dan ooit voor mogelijk werd gehouden.

Rusland lanceert alternatief en dumpt Amerikaanse staatsobligaties

Na uitgesloten te zijn van het internationale SWIFT betalingssysteem, een sanctie als gevolg van de –zoals onze lezers weten niet bestaande- Russische militaire acties in Oekraïne, lanceerde het Kremlin een alternatief waar meteen al 91 kredietinstellingen bij aangesloten werden. Tegelijkertijd dumpten de Russen een record hoeveelheid Amerikaanse schatkistpapieren, alleen al in december 2014 voor een bedrag van $ 22 miljard, maar liefst 20% van hun totaal (2).

Het Westen deed nogal lacherig over Ruslands alternatief voor SWIFT, want wat zou dat systeem voor zin hebben als andere landen er geen gebruik van zouden maken? Mocht dat onverhoopt wél gebeuren, dan zou de status van de dollar ernstig worden ondermijnd.

Chinezen lanceren in herfst CIPS

Nu blijkt dat het ‘onverwachte’ gevolg een Chinese navolging van de Russische stap is. Ook de Chinezen lanceren nu hun eigen internationale betalingssysteem: CIPS (China International Payment System), dat grensoverschrijdende transacties in yuan (renminbi) gaat regelen. Dit systeem zal mogelijk al in september of oktober actief worden.

De Westerse provocaties in Oekraïne hebben dus niet alleen Rusland, maar ook China er versneld toe aangezet stappen te ondernemen om de dollar los te laten. Eerder besloten Moskou en Peking al om een deel van hun onderlinge (olie)handel in de eigen valuta te gaan afrekenen.

Rol yuan in wereldhandel groeit snel

In november 2014 haalde de Chinese munt de Canadese en Australische dollar in en kwam het in de top-5 van internationaal meeste gebruikte valuta terecht. Tot nu toe moeten grensoverschrijdende yuan-transacties via zogenaamde clearing banken worden afgehandeld, maar met het nieuwe CIPS is die tussenstap niet langer nodig.

Omdat China de VS als grootste economie ter wereld aan het inhalen is, zal met CIPS steeds meer internationale handel niet langer in dollars, maar in yuans worden afgerekend. In december vorig jaar steeg het aantal wereldwijde betalingen met de Chinese munt al met 20,3% ten opzichte van een jaar eerder.

Rusland en China ‘gedwongen’ door regering Obama

‘Gesteld kan worden dat als het inderdaad een briljante tactische zet van de regering Obama was om Rusland –en door geopolitieke verwantschap ook China- uit het door de VS gecontroleerde monetaire transactie mechanisme te zetten en daarmee de twee grootste uitdagers van de Amerikaanse wereldwijde dominantie in hun eigen –of gezamenlijke- betalingssysteem te dwingen - wel, gefeliciteerd dan: dat is gelukt,’ wordt op de onafhankelijke financieel-economische website Zero Hedge sarcastisch geconcludeerd. (1)

Xander

(1) Zero Hedge
(2) Zero Hedge
(3) Zero Hedge